Il primo problema di compatibilità tra le fonti comunitarie e il diritto interno riguarda le norme comunitarie direttamente efficaci nell’ordinamento nazionale, cioè quelle norme che discendono dai regolamenti comunitari o delle direttive auto-applicative, ed esplicano immediatamente ed effetti negli ordinamenti statali, accanto alle norme prodotte dalle fonti interne, entrando spesso in conflitto con esse.

In mancanza di ogni specie di indicazione normativa circa le modalità per risolvere quel tipo di antinomia, spetta ai giudici e a tutti gli operatori del diritto stabilire come scegliere quale norma da applicare, nel caso di norme confliggenti che appartengono l’uno al diritto comunitario e l’altra al diritto nazionale.

La prima fase: una dichiarazione di illegittimità costituzionale

Gli anni ‘70, la corte costituzionale ha riconosciuto il necessario primato del fonti comunitarie e la loro prevalenza sulle fonti legislative interne, attraverso il congiunto operare dell’abrogazione e dell’illegittimità costituzionale, a seconda che la norma comunitaria fosse successiva o precedente rispetto alle fonti interne configgenti.

In tale seconda ipotesi la legge italiana doveva essere sottoposta al vaglio della stessa corte costituzionale, che ne dichiarava l’incostituzionalità, per violazione immediata della norma comunitaria configurata come norma interposta all’articolo 11 della costituzione.

La seconda fase: la disapplicazione delle leggi contrastanti con le norme comunitarie.

La corte di giustizia della comunità europea ha affermato la preminenza del diritto comunitario, e il giudice nazionale, è incaricato di applicare, nell’ambito della propria competenza, le disposizioni di diritto comunitario, e ha l’obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disattivando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, senza dover chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale.

A questo punto la corte costituzionale ha cambiato il proprio orientamento con la sentenza n.170 del 1984 in cui afferma che la norma comunitaria riceve piena e diretta applicazione per forza propria, non entrando a far parte del ordinamento nazionale, e viene preferita alle norme interne incompatibili, ovviamente nelle materie trasferite alla competenza della comunità, sia che segua, sia che preceda nel tempo le leggi ordinarie incompatibili.

Si impedisce così che tale norma venga in rilievo per la definizione di una controversia innanzi al giudice nazionale.

Anche le sentenze interpretative e le sentenze di condanna alla corte di giustizia delle comunità europea sono divenuti direttamente applicabili, alla ricorrenza di determinate condizioni.

La corte ha quindi ammesso un proprio intervento diretto al fine di salvaguardare il massimo adeguamento, dell’ordinamento interno alle norme comunitarie, in una serie di ipotesi:

  • quando il governo impugna le leggi regionali contrastanti con il diritto comunitario;
  • quando le regioni inpugnino in via di azione leggi dello Stato le quali, contravvenendo al diritto comunitario allo stesso tempo ledano o invadono le proprie competenze;
  • quando le norme nazionali violino norme comunitarie, non direttamente applicabili, ricevendole in maniera incompleta impropria o errata;
  • quando una legge interna impedisca o pregiudichi la perdurante osservanza dei trattati, in relazione al sistema o al nucleo essenziale dei loro principi.

È da aggiungere l’unica fattispecie rispetto rispetto alla quale il conflitto si è risoltoin favore della norma nazionale: quella in cui la norma comunitaria sia contraria ai principi supremi dell’ordinamento e ai diritti inviolabili dell’uomo

La giurisprudenza ha sempre affermato l’esistenza di contro-limiti all’ingresso delle norme comunitarie nell’ordinamento interno, osservando che quest’ultime non possono essere accettate qualora violino i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale o i diritti inalienabili della persona umana.

Questo è diventato un chiarissimo indizio del fatto che le norme comunitarie sono subordinate ai principi supremi dell’ordinamento ma sono poste al di sopra della leggi formalmente costituzionali

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