Nel caso di più amministratori la disciplina legale, derogabile per le società a responsabilità limitata e inderogabile per le società per azioni prevede che essi costituiscano il consiglio di amministrazione (o di gestione) e che quindi operino collegialmente. In tale ipotesi perché le deliberazioni siano valide devono ricorrere alcuni presupposti tipici delle adunanze collegiali. Per le società a responsabilità limitata la disciplina è lasciata all’atto costitutivo e quindi i soci possono stabilire che le decisioni del consiglio siano adottate sulla base del consenso per iscritto e quindi al di fuori dell’adunanza.

La legge richiede solo che il consenso degli amministratori risulti con chiarezza dalla documentazione che la società deve conservare e che deve essere trascritta nel libro delle decisioni del consiglio. Per le società per azioni i criteri sono invece fissati dalla legge che richiede la regolare costituzione dell’organo (presenza della maggioranza degli amministratori almeno che lo statuto non richieda una percentuale maggiore) e la maggioranza necessaria per la deliberazione (maggioranza assoluta dei presenti salvo diversa disposizione statutaria), stabilisce che il voto non può essere espresso per rappresentanza e che le deliberazioni devono essere trascritte nel libro delle adunanze del consiglio. Il consiglio è convocato dal presidente che ne fissa l’ordine del giorno e ne coordina i lavori.

Nel sistema originario del codice i vizi della deliberazione (sia relativi alla formazione che al contenuto) erano rilevanti solo nell’ipotesi di conflitto di interessi tra amministratore e società e quindi sorgevano dubbi se dovesse ritenersi esclusa ogni altra impugnazione delle deliberazioni. Il dubbio sorgeva in quanto mentre la deliberazione dei soci è normalmente destinata a tradursi in un atto esterno, la deliberazione del consiglio generalmente costituisce un presupposto per il compimento di un atto esterno e quindi l’invalidità della deliberazione del consiglio, traducendosi in una invalidità dell’atto esterno poteva essere fatta valere indirettamente attraverso l’impugnazione dell’atto posto in essere dalla società e questo avrebbe spiegato il silenzio della legge al proposito.

Tuttavia in alcuni casi non sempre la deliberazione del consiglio costituisce un presupposto per un atto della società con i terzi (es. aumento di capitale) e inoltre anche quando lo è non è detto che la invalidità della delibera si traduca necessariamente in una invalidità dell’atto e possa essere fatta valere attraverso essa. Pertanto in sede di riforma si è arrivati ad una disciplina generale delle invalidità delle deliberazioni del consiglio di amministrazione delle società per azioni. Essa prevede che le deliberazioni non prese in conformità della legge e dello statuto possano essere impugnate solo dagli amministratori dissenzienti e dall’organo di controllo entro 90 giorni dalla delibera mentre i soci sono legittimati solo nel caso in cui la deliberazione sia lesiva per i loro interessi.

Come per le deliberazioni dell’assemblea anche in questo caso l’annullamento della delibera del consiglio di amministrazione non pregiudica i diritti dei terzi sulla base di atti compiuti in buona fede in esecuzione alla delibera annullata. Nelle società a responsabilità limitata manca invece una disciplina generale essendo contemplato solo il caso del conflitto di interessi. La disciplina del conflitto di interessi è invece dettata dal legislatore per entrambi i tipi di società anche se in termini alquanto diversi. Infatti nella società per azioni sorgono per gli amministratori obblighi di comportamento in ogni caso in cui abbiano un interesse in una operazione della società, non importa se concorrente o configgente con esso mentre per la società a responsabilità limitata il legislatore considera rilevante solo l’ipotesi in cui l’amministratore, al fine di avvantaggiarsi personalmente, operi a danno della società.

La differenza di prospettiva si giustifica con il fatto che la posizione dell’amministratore nella società a responsabilità limitata è simile a quella del mandatario che può avere un interesse proprio anche nella cura dell’interesse altrui e non deve pregiudicare quest’ultimo a suo vantaggio mentre nella società per azioni l’amministratore è un soggetto che presta la sua opera professionale nella gestione della società e deve pertanto porsi in una posizione di neutralità rispetto ai suo interessi personali. Perciò per gli amministratori della società per azioni la legge pone un obbligo di trasparenza per cui l’amministratore in conflitto deve darne notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale, e se è amministratore delegato deve astenersi dal compiere l’operazione.

Pertanto l’invalidità della deliberazione è prevista in ogni caso in cui possa arrecare danno alla società sia nell’ipotesi in cui sia stata adottata con il voto determinante dell’amministratore in conflitto che nell’ipotesi in cui non sia stata soddisfatta tale esigenza di trasparenza. La violazione di entrambi gli obblighi (quello di non operare a vantaggio personale e a danno della società e quello di segnalare con trasparenza le situazioni di conflitto) può implicare una responsabilità per i danni che ne derivano. La violazione del secondo obbligo nelle società quotate può essere sanzionata anche penalmente qualora ne derivino danni alla società o a i terzi. Pertanto nella disciplina della società a responsabilità limitata l’invalidità della deliberazione presuppone un effettivo danno patrimoniale alla società mentre per quella della società per azioni è sufficiente che le deliberazioni adottate in violazione della norma siano anche solo potenzialmente dannose.

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