Atto di concorrenza sleale e atto illecito

Prima che intervenisse la disciplina specifica posta dall’art. 2598 cc la concorrenza sleale veniva repressa sulla base dell’art. 2043 cc. Si trattava però di una impostazione completamente diversa in quanto in base all’art. 2043 l’atto di concorrenza sleale era inquadrato nella categoria degli atti illeciti e quindi rilevava non l’antigiuridicità del comportamento ma il fatto che dal comportamento stesso fosse derivato un danno. Ovviamente però era necessario individuare il bene protetto dalla norma la cui lesione avrebbe provocato la responsabilità dell’imprenditore.

Tale bene era individuato in un diritto di personalità consistente nel far propri i risultati della propria attività o nel diritto alla individuazione o in un diritto patrimoniale costituito dall’avviamento, dall’azienda o dalla clientela Inoltre era necessaria la presenza dell’elemento soggettivo (dolo o colpa) senza il quale non era possibile la responsabilità dell’imprenditore.. Nella impostazione attuale invece l’antigiuridicità del comportamento è valutata a prescindere dal danno e dalle conseguenze patrimoniali e può sussistere a prescindere dal dolo e dalla colpa in quanto una volta accertato l’atto di concorrenza sleale la colpa è presunta e può essere dimostrata inesistente ma in questo caso viene meno il diritto al risarcimento del danno ma non il diritto alla inibizione. Il fondamento della tutela accordata dalla legge nella impostazione attuale (art. 2598) è quindi l’antigiuridicità del comportamento in sé stesso e non la lesione del bene e ne consegue quindi che viene meno la necessità di individuare un bene per la tutela del quale siano poste le norme sulla concorrenza sleale.

Pratiche sleali e tutela del consumatore

– E’ evidente che nel gioco della concorrenza svolgono un ruolo di rilievo anche i consumatori. Infatti presupposto di un sistema concorrenziale non è solo la libertà di iniziativa economica degli imprenditori ma anche la libertà di scelta dei consumatori dato che la competizione degli imprenditori si volge al fine di ottenere il consenso dei consumatori stessi. Fanno parte pertanto delle regole della concorrenza anche le norme che tendono a tutelare la libertà di scelta dei consumatori assicurando che la stessa non sia alterata, cosa che provocherebbe l’alterazione dei risultati della competizione stessa.

Tale tutela si compone di strumenti che perseguono una tutela individuale dei consumatori (soprattutto al momento della stipulazione e dell’esecuzione del rapporto contrattuale con l’impresa) o che perseguono una tutela generale del consumatore come categoria considerando in generale il rapporto dell’imprenditore con la categoria generale dei consumatori (esempio rilevante è la disciplina delle pratiche commerciali scorrente inserita nel codice di consumo e che dà la possibilità di una tutela inibitoria a seguito di procedimento amministrativo davanti all’autorità garante della concorrenza e del mercato)

Le pratiche commerciali scorrette sono caratterizzate dalla loro idoneità a falsare in misura apprezzabile il comportamento del consumatore medio e sono classificate nel codice di consumo nelle due categorie delle pratiche ingannevoli e delle pratiche aggressive . Le pratiche ingannevoli coincidono in generale con quelle relative alla pubblicità ingannevole con la differenza che nelle prime non vi è esplicito riferimento alla idoneità a ledere un concorrente essendo invece posto l’accento sull’idoneità ad indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di consumo che non avrebbe invece preso.

Ciò non toglie però la rilevanza delle pratiche ingannevoli anche sul piano della concorrenza sleale. Le pratiche aggressive si imperniano sulle nozioni di molestia e indebito condizionamento in grado di alterare la decisione del consumatore medio, che possono rilevare anche in sede di applicazione della disciplina antitrust.

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