La libertà di iniziativa economica implica la normale presenza sul mercato di più imprenditori in competizione fra loro per conquistare il potenziale pubblico di consumatori e conseguire il maggior successo economico.

Nel perseguimento di questi obiettivi ciascun imprenditore gode di ampia libertà di azione e può porre in atto le tecniche e le strategie che ritiene più proficue.

È tuttavia interesse generale che la competizione fra imprenditori si svolga in modo corretto e leale:

da qui la necessità di fissare alcune regole di comportamento che devono essere osservate nello svolgimento della concorrenza, al fine di impedire “colpi bassi”.

Questa esigenza è soddisfatta dalla disciplina della concorrenza sleale.

Nello svolgimento della competizione fra imprenditori concorrenti è vietato servirsi di mezzi e tecniche non conformi ai “principi della correttezza professionale”.

I fatti, gli atti e i comportamenti che violano tale regola sono atti di concorrenza sleale.

Tali atti sono repressi e sanzionati anche se compiuti senza dolo o colpa ed anche se non hanno ancora arrecato un danno ai concorrenti: basta infatti il solo danno potenziale, ossia che l’atto sia idoneo a danneggiare l’altrui azienda.

Si tratta, in definitiva, di una disciplina volta ad evitare che pratiche scorrette alterino il corretto funzionamento del mercato.

I consumatori però non sono tutelati direttamente dalla disciplina della concorrenza sleale, dato che legittimati a reagire contro gli atti di concorrenza sleale sono solo gli imprenditori concorrenti e le loro associazioni, non invece i consumatori.

Salvo i casi più gravi, la disciplina della concorrenza sleale lascia così i consumatori esposti ai possibili inganni dei mezzi di persuasione pubblicitaria.

Tuttavia, anche sotto questo profilo, significativi passi avanti sono stati compiuti dal 1942 ad oggi. All’originaria mancanza di norme sulla protezione dei consumatori contro gli inganni pubblicitari ha infatti in primo tempo supplito la volontaria adesione da parte delle imprese ad un Codice di autodisciplina pubblicitaria.

Al sistema di autodisciplina si è poi affiancata una disciplina statale della pubblicità ingannevole. Scopo dichiarato di tale disciplina è quello di tutelare non solo gli imprenditori concorrenti ma anche in consumatori: a tal fine è introdotto un controllo amministrativo contro la pubblicità ingannevole, affidato all’Autorità garante della concorrenza e del mercato.

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