La risarcibilità del danno non patrimoniale. Il danno biologico alla persona

In tutti i sistemi giuridici esiste il problema del come tutelare il soggetto che ha subito un pregiudizio che non ha carattere patrimoniale.

Ad esempio la reputabilità di un soggetto è lesa ad un’affermazione altrui. Da questa affermazione no deriva alcun pregiudizio economico, al massimo il danno si identifica con lo stesso interesse colpito dall’affermazione (interesse all’onore). Il rimedio in questo caso sarà un rimedio a carattere restitutorio-ripristinatorio ossia una rettifica dell’affermazione, ma non anche risarcitorio perché non vi è alcun danno patrimoniale.

Ma questa soluzione non è appagante perché chi ha subito l’offesa potrebbe desiderare anche di avere una soddisfazione materiale a carico dell’offensore oltre ovviamente alla sanzione prevista dall’ordinamento e alla rettifica dell’affermazione.

Da questo esempio si capisce che lo scopo del risarcimento del danno non patrimoniale è completamente differente dal risarcimento del danno patrimoniale. La risarcibilità del danno non patrimoniale risponde ad una funzione diversa rispetto al danno patrimoniale: una funzione satisfattiva mentre nell’altro caso si ha una funzione compensativa.

Questa ricostruzione è confermata anche dall’evoluzione storica la quale per lungo tempo ha identificato il danno non patrimoniale (2059) con il danno moraleinteso come turbamento o patema d’animo provocati da un fatto lesivo della persona.(patemi d’animo, dispiaceri, pretium doloris). La ragione di questa identificazione è che si è cercato di trovare un opposto al danno patrimoniale nelle ipotesi gravi di illecito in quanto sarebbe stato assurdo prevedere la risarcibilità del danno patrimoniale e negarla per pregiudizio più gravi come un turbamento del proprio stato d’animo e seguito della lesione subita.

Tuttavia questa ricostruzione è parsa inadeguata poiché limitava la risarcibilità del danno non patrimoniale alle sole ipotesi previste dalla legge: così facendo a parte i pochi casi previsti dalla legge, l’intero universo delle violazioni arrecate in vario modo e forma ai valori della persona sarebbe risultato privo di tutela.

La giurisprudenza, sia ordinaria che costituzionale, ha cercato di porre rimedio a questa situazione. La via percorsa dalla giurisprudenza è stata quella di valorizzare tutto il campo della risarcibilità attraverso una nuova visione del danno non patrimoniale inteso, ora, come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona. Ciò vuol dire che non si giustifica più la restrizione dell’art. 2059 e che i riferimenti normativi vanno cercati altrove: nel combinato dell’art. 32 cost. (diritto alla salute) e dell’art. 2043 (resp.extracontrattuale).

Questo indirizzo seguito dalla giurisprudenza, di considerare la persona non solo fisicamente ma nell’intera sua potenzialità relazionale ha fatto sì che la stessa alternatività danno patrimoniale / danno non patrimoniale intenso come danno morale, sia superata.

non patrimoniale, inteso quale danno morale (pretium doloris), che consiste nel dolore fisico o psichico derivante, ad esempio, da un’offesa all’integrità fisica, all’onore o dalla perdita di una persona cara. È risarcibile solo nei casi determinati dalla legge (art. 2059 c.c.) e sempre che il fatto costituisca reato.

Il superamento è avvenuto attraverso il riconoscimento del danno biologico che non è danno patrimoniale e non coincide con il danno morale soggettivo (a causa della sua materialità). Esso, quindi nasce e può apparire una sorta di escamotage, per rispondere alla limitativa previsione dell’art.2059.

Il danno biologico è un danno all’integrità psico-fisica del soggetto, accertabile sul terreno medico legale. Sara danno biologico ogni ingiusta lesione alla integrità psico-fisica della persona, indipendentemente dalla perdita economica che da quella lesione deriva.

Il motivo per il quale la giurisprudenza ha conferito autonoma rilevanza al danno biologico, sta nel fatto che l’orientamento tradizionale riconosceva al danno alla persona natura patrimoniale cosicché la liquidazione veniva effettuata sulla base di criteri influenzati dal reddito percepito e dalla capacità lavorativa del soggetto: configurando il danno come giuridicamente rilevante solo e nei limiti in cui incida la possibilità di guadagna si è creata una disuguaglianza sociale.

La giurisprudenza ha invece definito il danno biologico come la lesione al bene-salute di cui ogni soggetto è portatore prima ancora che nelle conseguenze della lesione.

La tutela risarcitoria del danno biologico è riconosciuta in virtù del collegamento tra l’art.2043 e l’art.32 della Costituzione superando così il limite dell’art.2059. Il risarcimento, in questo caso, prescinde da una modificazione peggiorativa della capacità lavorativa del soggetto leso e si risarcisce autonomamente la lesione alla salute, in sé e per sé considerata, indipendentemente dall’incidenza della lesione sul reddito. Il risarcimento sarà commisurato non in relazione al reddito ma in relazione al valore “uomo/persona” e quindi alle funzioni naturali dell’individuo.

Conseguenze dell’autonomia del danno biologico sono:

si supera la tesi restrittiva secondo la quale sono risarcibili ex. art.2043 solo i danni di natura patrimoniale, mentre i danni non patrimoniali ricadono sotto la limitata risarcibilità dell’art.2059. La nuova interpretazione ha fatto sì che l’art. 2043 è comprensivo sia del danno patrimoniale che del danno non patrimoniale. Mentre il danno non patrimoniale previsto dall’art. 2059 è definito danno morale collegato alle sofferenze e ai dolori causati da un illecito. Esso avrà solo valore psichico.

la liquidazione del danno non si fonda più su criteri legati alla capacità di produrre reddito, ma su criteri equitativi onde evitare forme di disuguaglianza sociale.

Secondo di Majo una tale impostazione rischia di eliminare l’elemento del danno in quanto lo fa coincidere con la lesione stessa, considerata dunque come evento di per se risarcibile: non vi si sarebbe più bisogno di andare alla ricerca del danno come vera e propria conseguenza provocata dall’illecito .

Tuttavia ritiene Di Majo che nonostante ciò bisogna tenere ferme le regole del sistema della responsabilità che inducono a tener fermo il danno-conseguenza così da poter selezionare, tra le varie conseguenze dannose, quelle risarcibili e quelle che invece non lo sono. Questi passaggi sono finalizzati alla ricerca del danno inteso come conseguenza risarcibile.

In tal modo il danno non patrimoniale se dal punto di vista dell’ingiustizia è ancora ai valori della costituzione, quanto alla risarcibilità deve rispettare le regole di responsabilità previste dall’obbligazione risarcitoria (danno inteso come conseguenza immediata e diretta dell’illecito).

Il risarcimento nel danno non patrimoniale avrà una duplice funzione: in parte satisfattiva dell’interessere leso e in parte sanzionatoria del comportamento del responsabile. Mentre nel danno patrimoniale la funziona è strettamente compensatoria.

Possiamo quindi affermare che è superata l’identificazione del danno non patrimoniale e quello morale soggettivo e cioè la tipizzazione forte che si riconduceva alla sole ipotesi previste dalla legge. Tuttavia anche nella nuova ricostruzione, che prevede il collegamento alla costituzione, secondo alcuni è necessaria una tipizzazione nel senso che solo in presenza di violazioni di valori costituzionalmente definitivi il danno sarà risarcibile.

D’altro canto c’è chi osserva come questa tipizzazione sia fittizia perché fa riferimento a valori la cui comprensione è assai dilatata; oppure c’è chi critica ogni forma di tipizzazione difendo l’autonomia dell’interprete circa l’apprezzamento della risarcibilità del danno non patrimoniale, autonomia analoga a quella che caratterizza l’apprezzamento del danno patrimoniale.

Di Maio ritiene che occorre valorizzare indici e criteri, in modo analogo ad una tipizzazione leggera, in modo da rendere effettiva la funziona composita (satisfattiva e sanzionatoria) del risarcimento del danno non patrimoniale.

Di qui la necessaria individuazione degli indici quali la gravida dell’offesa, l’ampiezza in relazione alle potenzialità relazionali, ecc…

Questa soluzione è metà strada tra una tipizzazione leggera che rischia di lasciare privi di tutela pregiudizi di notevole rilevanza sociale e l’altra via, rifiuto di ogni tipizzazione, che rischia di rendere risarcibili anche danni che non sono tali.

Recenti studi hanno portato alla configurazione del danno esistenziale inteso come somma delle ripercussioni relazionai di segno negativo che compromettono la sfera realizzatrice della persona. Tale danno sarebbe comprensivo del danno biologico e costituisce una sorta di contenitore. Ma il danno esistenziale rischia di dare adito a pretese di risarcimento per danni futili.

Il danno all’ambiente

Una nuova tipologia di danno è stata introdotta con la legge 349 del 1986 la quale precisa che “qualunque fatto doloso o colposo, in violazione di disposizioni di legge che comprometta l’ambiente arrecando danno obbliga l’autore del fatto al risarcimento nei confronti dello Stato”.

E’ così introdotto un concetto di danno ambientale identificato come qualsiasi fatto che implica la compromissione dell’equilibrio ambientale. Questo tipo di danno si sottrae alle classici concetti di danno ingiusto e risarcibile tipiche del modello della responsabilità.

Con il danno all’ambiente viene introdotto un danno particolare in quanto esso non può essere ricondotto alla lesione di un diritto soggettivo di tipo proprietario in quanto la Corte Costituzionale ha escludo che il danno ambientale incida su untene appartenente allo Stato. Con il danno ambientale è tutelato qualcosa di diverso, ossia un bene collettivo.

Da ciò deriva che il danno non potendo collegarsi ad un diritto prende spunto dalla violazione delle disposizioni di legge o di provvedimenti che tutelano l’ambiente, lo stesso risarcimento sfugge ai normali criteri di quantificazione.

In conclusione tale tipo di danno non è riconducibile al modello dell’art.2043 e solo lo Stato e gli enti territoriali possono proporre l’azione di risarcimento.

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