L’accordo può essere:

a) Espresso: quando risulta esternato in maniera esplicita, tramite una dichiarazione espressa di volontà esternata mediante i mezzi di linguaggio (mezzi di linguaggio sono quelli che nell’ambiente sociale sono considerati appositi strumenti comunicativi: parole gesti).

b) Tacito: quando le parti manifestano la loro volontà mediante comportamenti concludenti, che non costituiscono mezzi di linguaggio e dai quali, tuttavia, secondo le circostanze si presume l’implicito intento negoziale. La concludenza del comportamento deve essere valutata con riguardo all’obbiettivo significato che esso assume nell’ambiente socio-economico es. accettazione mediante inizio di esecuzione.

Al riguardo occorre fare riferimento al problema del silenzio.

Il silenzio, in generale, indica l’inerzia del soggetto che non manifesta una volontà sia essa positiva o negativa.

Il silenzio in sé e per se è un fatto equivoco e come tale non può avere il valore giuridico di positivo consenso (o negativo di diniego).

Tuttavia, si ritiene che l’accordo si possa perfezionare nonostante il silenzio della parte quando sia la legge stessa ad attribuire all’inerzia del soggetto il valore di consenso.

Si ritiene, inoltre, che possa valere come manifestazione tacita di consenso il cosiddetto Silenzio circostanziato cioè il silenzio che sia accompagnato da circostanze, oggettive e soggettive, tali da renderlo significativo come sintomo rivelatore dell’intenzione della parte. In altri termini, nel silenzio circostanziato l’intento negoziale si desume dal complessivo comportamento del soggetto; è appunto il comportamento complessivo del soggetto che, in relazione alle circostanze, può esprimere significato di consenso.

Qui, in altri termini non siamo più nel campo del silenzio in senso proprio ma nel campo del cosiddetto Comportamento concludente. Per comportamento concludente si intende un comportamento di per sè non dichiarativo della volontà del soggetto, ma alla luce delle circostanze complessive, diviene idoneo a manifestarla in modo univoco.

In particolare, la dottrina più recente sostiene che il silenzio esprime una positiva volontà negoziale quando la legge, il contratto o la consuetudine (ma anche la buona fede) impongono alla parte il dovere di parlare nel caso in cui intenda manifestarono volontà diversa da quella dell’accettazione della proposta.

La necessità del parlare quindi si spiegherebbe in relazione al significato che ragionevolmente una parte può attribuire al silenzio dell’altra. Precisamente, agirebbe contro buona fede la parte che negasse al proprio tacere quel significato che essa ha fatto intendere all’altro.

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