Mentre nel processo civile i contenuti della misura cautelare sono vari, nel processo amministrativo la tutela cautelare si è incentrata a lungo sulla sola sospensione del provvedimento impugnato: solo nelle controversie patrimoniali nel pubblico impiego, infatti, erano ammesse misure cautelari atipiche, corrispondenti a quelle contemplate dall’art. 700 c.p.c. (sent. n. 190 del 1985 della Corte cost.). La tutela cautelare, in sostanza, si incentrava in una misura ablatoria rispetto al provvedimento amministrativo, perché precludeva la produzione degli effetti propri del provvedimento impugnato o inibiva all’amministrazione di attuarne l’esecuzione materiale (es. la sospensione di un ordine di demolizione inibiva all’amministrazione di procedere alla demolizione). Questa configurazione della misura cautelare, tuttavia, risultava inadeguata nel giudizio promosso a tutela di interessi legittimi che riguardasse provvedimenti negativi o il silenzio dell’amministrazione: la sospensione di un provvedimento negativo o del silenzio-rifiuto, infatti, non comporta alcun beneficio per il ricorrente, perché il questi casi il pregiudizio materiale non è superato dalla preclusione degli effetti del provvedimento. Al contrario, può essere superato solo da un diverso esito del procedimento. Di fronte ad una soluzione così grave:

  • a partire dagli anni Trenta si impose una giurisprudenza che cercava di individuare, in seno ai provvedimenti negativi, alcune categorie di atti assimilabili ai provvedimenti positivi. Si distingueva quindi tra:
    • provvedimenti meramente negativi, non passibili di sospensione cautelare;
    • provvedimenti negativi con effetti positivi, per i quali la sospensione cautelare era ritenuta in parte possibile (es. diniego di rinnovo di concessioni di beni pubblici). Tali provvedimenti non esaurivano l’azione amministrativa, ma costituivano la ragione per l’adozione di ulteriori atti, questa volta positivi (es. ordinanza di sgombero del bene pubblico). La loro sospensione, quindi, avrebbe impedito l’adozione di questi ulteriori atti;
    • negli anni Novanta alcuni giudici amministrativi cercarono di estendere la sospensione ai provvedimenti meramente negativi e al silenzio dell’amministrazione, con esiti controversi: la sospensione di un silenzio-rifiuto o di un provvedimento negativo, infatti, diventa l’ordine all’amministrazione di pronunciarsi sulla richiesta di provvedimento. Tale soluzione, tuttavia, per quanto estrema, sembrava acquistare sempre maggiori consensi;
    • il d.lgs. n. 80 del 1998 pone definitivamente in crisi il modello di tutela cautelare fondato sulla sospensione del provvedimento impugnato. Confermando innovazioni sostanziali precedentemente accolte, quindi, il codice del processo amministrativo ha previsto che la tutela cautelare non si risolve più in una misura tipica, ma si attua in misure di contenuto atipico, modellate sul caso concreto (art. 55 co. 1), le quali possono consistere nelle misure più idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso. Attualmente, quindi, si ritiene che il giudice possa intimare all’amministrazione di assumere determinati atti o possa egli stesso autorizzare lo svolgimento dell’attività richiesta dal ricorrente. Occorre comunque considerare alcuni limiti generali ai poteri cautelari del giudice amministrativo:
      • una misura cautelare non può determinare la definizione del giudizio, perché altrimenti risulterebbe violato il principio della strumentalità;
      • si dubita della possibilità per il giudice amministrativo di definire, seppure in sede cautelare, l’assetto di interessi che sia demandato dalla legge alla discrezionalità amministrativa.
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