Lo svolgimento del giudizio di appello è regolato dalle disposizioni sul giudizio di primo grado, che sono espressamente richiamate anche per i giudizi di impugnazione (art. 38). L’appello contro una sentenza del Tar va proposto con ricorso al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale e va notificato entro sessanta giorni dalla notifica della sentenza o entro sei mesi dalla data della pubblicazione, qualora la sentenza non sia stata notificata. L’appello deve essere notificato alle parti del giudizio di primo grado identificate dall’art. 95. Qualora l’atto non sia notificato a tutte ma almeno ad una, il Consiglio di Stato ordina l’integrazione del contraddittorio. Nei trenta giorni successivi alla notifica, il ricorso deve essere depositato presso la segreteria del Consiglio di Stato, momento questo da cui si determina la pendenza del giudizio. L’appello non comporta automaticamente la sospensione (cautelare) dell’esecutività della sentenza, la quale, tuttavia, può essere disposta dal Consiglio di Stato, in seguito ad istanza dell’appellante contenuta nell’appello o in un altro atto notificato alle altre parti. Gli appellati possono costituirsi, depositando una memoria di costituzione (controricorso), entro il termine di sessanta giorni dalla notifica dell’appello. Mentre tale termine viene ritenuto ordinario, risulta perentorio il termine di sessanta giorni per proporre l’appello incidentale, che deve essere notificato all’appellante, presso il suo difensore nel giudizio di appello.

L’appello nel processo amministrativo ha carattere rinnovatorio: il Consiglio di Stato, se accoglie l’appello, di regola decide anche sulla controversia. In coerenza con tale carattere, il Consiglio non è vincolato dalla regola del fatto enunciata nella sentenza impugnata. Nei casi ammessi dall’art. 104 co. 2, peraltro, può anche acquisire nuovi elementi di prova.

Il carattere rinnovatorio del giudizio di appello consente di richiamare per le sentenze del Consiglio di Stato quanto detto a proposito delle sentenze del Tar, con alcune precisazioni:

  • vizi della sentenza rilevabili di ufficio: prima del codice il Consiglio di Stato riteneva di poter rilevare di ufficio alcuni vizi della sentenza impugnata (es. difetto di giurisdizione). La giurisprudenza riteneva che tali vizi fossero rilevabili di ufficio solo se non fossero stati oggetto di un’esplicita statuizione della sentenza impugnata. In caso contrario, la rilevabilità di ufficio sarebbe stata esclusa. Nel codice del processo amministrativo la questione viene affrontata rispetto alla questione di giurisdizione: l’art. 9 stabilisce che nel giudizio di appello il difetto di giurisdizione è rilevato se dedotto con specifico motivo avverso il capo della pronuncia impugnata che, in modo implicito o esplicito, ha statuito sulla giurisdizione. Il codice, in sostanza, accoglie il giudicato implicito sulla giurisdizione: in mancanza di uno specifico gravame, il Consiglio di Stato non può pronunciarsi sulla questione di giurisdizione;
  • annullamento della sentenza appellata con rinviodegli atti al giudice di primo grado: il codice limita le ipotesi di annullamento con rinvio, ritenendo che l’assunzione diretta della decisione da parte del giudice di appello assicuri meglio le esigenze di economia e di speditezza del giudizio. L’annullamento con rimessione al giudice di primo grado, quindi, è disposto in ipotesi tassative, derogatorie rispetto al principio generale del carattere rinnovatorio dell’appello al Consiglio di Stato:
    • difetto del contraddittorio: a tale ipotesi sono state ricondotte, oltre che la mancata integrazione del contraddittorio o la mancata instaurazione del giudizio nei confronti di una parte necessaria, anche tutti i casi di nullità della notifica del ricorso di primo grado o di nullità di tale ricorso che possano pregiudicare il diritto della parte di essere evocata in giudizio;
    • lesione del diritto di difesa di una delle parti (es. omissione della comunicazione dell’avviso di fissazione dell’udienza);
    • dichiarazione di nullità della sentenza: il termine nullità viene utilizzato in modo improprio, perché qualsiasi vizio processuale nel giudizio di primo grado determina tecnicamente la nullità della sentenza, mentre la rimessione al giudice di primo grado va disposta solo in casi particolari. Si propone quindi di fare riferimento all’ipotesi di nullità contemplata dall’art. 161 co. 2 (inesistenza giuridica della sentenza);
    • riforma della sentenza che ha declinato la giurisdizione o ha pronunciato sulla competenza o ha dichiarato l’estinzione o la perezione del giudizio;
    • annullamento della sentenza appellata senza rinvio: il mancato riferimento del codice a tale istituto non deve interpretarsi come un’esclusione di tale evenienza, dipendendo soltanto dalla circostanza che il codice ha incentrato l’attenzione sul rapporto tra i giudici dei due diversi gradi. Il Consiglio di Stato, tuttavia, se accerta che il Tar si è pronunciato sul merito del ricorso nonostante che esso fosse affetto da un vizio insanabile dell’atto introduttivo o non potesse essere deciso per la presenza di cause impeditive o estintive del giudizio, oppure che sussistesse un difetto assoluto di giurisdizione, si limita ad annullare la sentenza senza un rinvio;
    • il Consiglio di Stato, se annulla la sentenza del Tar che abbia ritenuto erroneamente di avere giurisdizione sulla controversia, se ritiene che la giurisdizione sia devoluta ad un altro giudice nazionale, lo dichiara nella sua sentenza, indicando il giudice competente. In questo caso la riproposizione tempestiva della domanda davanti a tale giudice comporta la salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda presentata.

La sentenza del Consiglio di Stato che riformi o annulli una sentenza di primo grado produce gli effetti espansivi contemplati dall’art. 336 c.p.c. Tale sentenza, in particolare, oltre ai capi di sentenza riformati o annullati, travolge anche i capi di sentenza che di essi sono conseguenza necessaria e che pertanto non possono conservare un’efficacia autonoma (effetto espansivo interno). La riforma o l’annullamento di un capo di sentenza, peraltro, travolge anche gli atti che la parte soccombente abbia posto in essere in esecuzione del capo stesso (effetto espansivo esterno). Il codice del processo amministrativo non considera tali effetti al pari del codice di procedura civile, ma la dottrina ha preso posizione nel senso di estenderli ex art. 39 anche al diritto amministrativo.

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