Per quasi un secolo lo svolgimento del processo amministrativo fu assoggettato ad una disciplina uniforme. La legge istitutiva dei Tar (art. 3), invece, introdusse un primo rito speciale, stabilendo che le controversie per le operazioni elettorali fossero assoggettate alla particolare disciplina stabilita per i giudizi avanti alle Sezioni del contenzioso elettorale. A partire dagli anni Novanta, peraltro, al giudice amministrativo cominciarono ad essere assegnati compiti nuovi, cosa questa che favorì l’introduzione di una serie di discipline speciali. I motivi che determinarono la previsione di riti speciali furono varie (es. particolare rilievo riconosciuto ad alcune procedure amministrative (procedura elettorale) o ad alcune situazioni sostanziali (materia di accesso), esigenza di accelerare la decisione per la particolare importanza di ordine economico).

Prima del codice questa proliferazione era all’origine di numerose discipline particolari. Il codice ha quindi perseguito un obiettivo di semplificazione, riducendo il numero dei riti speciali. Non si è tuttavia limitato a riordinare l’assetto dei singoli riti speciali, ma ha proposto anche la disciplina di alcuni profili comuni. In particolare, ha disciplinato per la prima volta il cumulo di domande che siano assoggettate a riti diversi, stabilendo in generale la previsione del rito ordinario (art. 32 co. 1). Tale regola risulta tuttavia limitata nella sua portata dal fatto che, se una domanda risulta assoggettata ad uno dei riti abbreviati di cui agli artt. 119 ss., l’intero giudizio deve essere definito secondo il rito speciale.

Il codice ha dedicato ai riti speciali il libro IV (artt. 112 ss.), oltre ad alcune disposizioni sparse nei libri precedenti. La disciplina dei riti speciali hanno carattere derogatorio rispetto alla disciplina generale del processo amministrativo. Per tutto quanto non diversamente disposto, quindi, anche nelle controversie assoggettate ai riti speciali si applicano le disposizioni del libro II.

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