L’amministrazione intesa quale cura di interessi collettivi è esercitata dai vari organi ed enti a ciò deputati, nel rispetto del disegno costituzionale, ed è sempre connessa all’attività politica o perché sono gli organi politici (sindaci, presidenti delle regioni, ministri) ad esercitare direttamente i poteri amministrativi, o perché gli organi e uffici che esercitano attività di amministrazione sono dipendenti dai primi, ovvero sottoposti alla loro direzione e al loro controllo.

Politica è da intendersi quale attività degli organi di governo di una data comunità, attraverso cui vengono individuati gli interessi della collettività, gli obiettivi da perseguire nell’ambito dell’azione di governo, i mezzi e le risorse necessarie, e così via. Nell’ambito dei limiti stabiliti dall’ordinamento costituzionale, l’attività politica è libera nella determinazione degli obiettivi e dei mezzi, si esprime attraverso le leggi e altri atti normativi, nonché con atti di programmazione ed indirizzo, in quanto tali, improduttivi di effetti diretti nei confronti dei terzi. Ancora, l’azione politica si caratterizza per il suo esprimere posizioni di parte, dunque per la sua parzialità. Amministrazione è, al contrario, cura concreta di bisogni ed interessi ed è per definizione imparziale, così come statuito dall’art. 97 Cost.

Essa, cioè, deve svolgersi in base a criteri di ragionevolezza, vale a dire senza commettere parzialità a favore di un soggetto e a svantaggio di un altro. Inoltre, l’attività amministrativa non è completamente libera, nel senso che è sempre, in qualche modo, vincolata nel fine da raggiungere, nei mezzi da utilizzare, nelle risorse da impiegare, cose che, in linea di massima, sono stabilite nell’ambito dell’attività politica attraverso le leggi.

La distinzione tra attività politica e attività amministrativa è, prima di tutto, una distinzione funzionale, nel senso che, laddove organi politici operano nell’esercizio di attività amministrativa, cioè sono titolari di poteri di amministrazione e li esercitano in concreto, essi sono assoggettati alle regole proprie della funzione amministrativa e non possono operare con le modalità proprie dell’agire politico.

In realtà, tale principio aveva particolare rilevanza precedentemente alle riforme del 1993-1998, con le quali è stato introdotto nel nostro ordinamento il principio della separazione delle competenze tra politica e amministrazione, direttamente attuativo dell’art. 97 Cost.

L’essenza del principio in esame potrebbe essere riassunta così: l’attività amministrativa viene scissa in due fasce spettanti l’ima agli organi politici, i quali si esprimono attraverso atti normativi a carattere generale, di programmazione e di indirizzo, aventi sempre natura amministrativa, ma non direttamente produttivi di effetti nei confronti dei terzi (attività di alta amministrazione); l’altra nella quale sono accomunate tutte quelle attività

produttive di “effetti” diretti nei confronti dei terzi e che spettano alla titolarità dei dirigenti (uffici a titolarità burocratico-professionale).

Nonostante la sussistenza di tale principio, la sfera politica e quella, amministrativa sono intimamente connesse.

Prima di tutto, la previsione di-poteri di programmazione, indirizzo e controllo attribuiti all’autorità politica nei confronti dei dirigenti. Si tratta della previsione legislativa dell’insieme delle regole concrete e” degli obiettivi da raggiungere, che sono fissati dall’autorità politica nell’ambito dei programmi politici più generali e che attengono alla sfera della politica. I dirigenti hanno il compito di rendere concrete tali previsioni, per cui è necessario effettuare un controllo sulla loro attività, relativa ai risultati raggiunti o non raggiunti, e che spetta all’autorità politica che la esercita utilizzando strutture e strumenti adeguati.

In secondo luogo, la disciplina delle nomine dei dirigenti, la quale spetta all’autorità politica, e che ha grande rilevanza con riferimento alla garanzia del corretto funzionamento dell’amministrazione.

Le recenti modifiche alla disciplina del pubblico impiego hanno profondamente trasformato il sistema delle nomine alla titolarità degli uffici burocratico-professionali, introducendo due istituti che consentono all’autorità politica di disporre della titolarità degli uffici professionali a sostanziale riequilibrio per la sottrazione di compiti di amministrazione attiva.

Un primo istituto ò quello del rapporto di ufficio a termine, per cui la titolarità di ogni ufficio dirigenziale è a termine, entro un minimo e un massimo previsto dalla legge. Spetta all’autorità politica procedere alla fissazione del termine dell’incarico e dell’eventuale rinnovo di esso, il che pone il titolare dell’ufficio in uno stato di soggezione che può influire sull’esercizio dell’attività amministrativa.

Altro istituto è quello in gergo definito spoil system. Si tratta della titolarità di uffici di vertice di una determinata Amministrazione con una più marcata connessione rispetto agli organi politici, dei quali segue la sorte. In sostanza, il titolare dell’ufficio viene nominato e decade dall’ufficio rispettivamente con l’instaurazione e cessazione della carica dell’organo politico.

Per concludere, da quanto detto fin qui, emerge con sufficiente chiarezza come l’amministrazione, che per definizione e per espressa previsione costituzionale deve essere imparziale, sia, in realtà, fortemente legata alla politica che, per definizione, è parziale, con forti elementi di contraddittorietà che mostrano come il principio di separazione non sia, in effetti, del tutto assestato.

Risulta, pertanto, necessario garantire un assetto fisiologico del collegamento tra politica e amministrazione, al fine di assicurare il buon andamento complessivo del sistema di governo, in quanto solo un’amministrazione imparziale garantisce il suo corretto funzionamento al servizio dei cittadini.

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