L’ altro grande braccio dell’ amministrazione pubblica è costituito dall’ amministrazione locale (comuni, province e città metropolitane).

Le province sono state istituite subito dopo l’ unificazione italiana, sul modello francese; le città metropolitane, invece, sono previste dal nuovo testo dell’ art. 114 Cost.; i comuni, infine, risalgono a secoli addietro (i più antichi addirittura al medioevo).

Gli enti locali si distinguono dagli altri enti pubblici per la modalità di investitura degli organi di base, che non poggia su una nomina, ma su una elezione (in tal senso si è espressa la Consulta con le sentt. 42/61 e 96/68); in questa prospettiva, il primo e più importante tratto caratteristico dell’ ente locale è quello della elettività dei suoi organi di base (un principio che risale ad epoca remota e che solo il fascismo ha cercato di negare); l’ elettività degli organi comporta, di conseguenza, la possibilità che la maggioranza al comune ovvero alla provincia sia di colore diverso dalla maggioranza al Parlamento nazionale o al consiglio regionale (ed è questa l’ implicazione fondamentale dell’ autonomia dell’ amministrazione locale).

Analizziamo adesso le modalità di elezione (prima e dopo la riforma del 1993). Prima della riforma del 1993 i cittadini eleggevano il consiglio (comunale o provinciale) e questi, a sua volta, eleggeva il sindaco (o il presidente della provincia) e i componenti della giunta; tale meccanismo, però, non era particolarmente idoneo ad assicurare stabilità all’ esecutivo dell’ ente locale, dal momento che alcuni consiglieri della maggioranza, aspirando a far parte della giunta (o ad esserne a capo, in qualità di sindaco o di presidente della provincia), potevano sabotare l’ esecutivo, togliendo ad esso l’ appoggio (con il preciso intento di determinarne la caduta e di provocare un avvicendamento che avrebbe potuto favorirli).

In virtù di tali considerazioni, con L. 81/93, il sistema di rappresentanza è stato radicalmente mutato: cosicché all’ elezione del consiglio è stata affiancata l’ elezione diretta del sindaco (o del presidente della provincia) e all’ elezione della giunta, da parte del consiglio, è subentrata la nomina del sindaco. Pertanto, ragionando in questi termini, possiamo affermare con certezza che il modello costituzionale al quale si ispira oggi il sistema locale è di tipo presidenziale (sul modello statunitense): ed infatti, i rappresentanti eletti (il consiglio) e il capo dell’ esecutivo (sindaco o presidente) hanno un’ investitura popolare diretta; forte di questa investitura, quindi, il sindaco o il presidente della provincia sceglie gli assessori (i componenti della giunta) sulla base di un rapporto di natura fiduciaria, che dovrebbe prescindere dalle appartenenze ai partiti e alle liste collegate (anche se ciò, a ben vedere, risulta quasi inevitabile a causa degli accordi fatti in vista delle elezioni).

Con il modello presidenziale, che presuppone (nel capo dell’ esecutivo) un’ investitura che prescinde dalla fiducia del legislativo (il consiglio) contrasta, però, l’ istituto della mozione di sfiducia, disciplinato dall’ art. 52 d.lgs. 267/00; è, tuttavia, previsto un potente correttivo: se, infatti, la sfiducia viene votata ne consegue lo scioglimento del consiglio e la nomina di un commissario; in altri termini, i consiglieri sanno che se la loro iniziativa (la presentazione della mozione di sfiducia) avrà sèguito, cesseranno automaticamente di essere consiglieri, perché l’ organo (il consiglio) verrà disciolto.

Detto questo, è necessario adesso analizzare il particolare meccanismo elettorale degli enti locali. Tale meccanismo è diverso a seconda che il comune abbia meno o più di 15000 abitanti: nel primo caso ciascun candidato alla carica di sindaco è collegato ad una lista di candidati al consiglio comunale (in questo caso, quindi, l’ elettore, votando per il candidato sindaco, vota anche per la lista che lo sorregge, nell’ ambito della quale può votare anche il candidato consigliere che preferisce). Terminata la votazione, viene eletto sindaco il candidato che ottiene il maggior numero di voti; e alla lista collegata sono attribuiti i due terzi dei seggi assegnati al consiglio (gli altri, ovviamente, sono assegnati in modo proporzionale alle altre liste).

Nei comuni con più di 15000 abitanti, invece, il sindaco viene eletto con la maggioranza assoluta dei voti validi; pertanto, se nessun candidato supera il 50% dei voti, la domenica successiva si procede ad un secondo turno (cd. ballottaggio), al quale sono ammessi i due candidati che hanno ottenuto il maggior numero dei voti. È importante specificare, inoltre, che in questi casi la candidatura a sindaco è collegata ad una o più liste, ma il collegamento non è così stretto come nei comuni minori, perché l’ elettore può votare la lista, ma può non votare il candidato sindaco ad essa collegato (e scegliere un candidato collegato ad un’ altra lista). Ciò significa, in altri termini, che pur essendo possibile che il candidato sindaco venga eletto al primo turno, è altrettanto possibile che la lista o le liste collegate non raggiungano il 50% dei voti: in tal caso è previsto un premio di maggioranza (il 60% dei seggi del consiglio), purché la lista (o il gruppo di liste) abbia conseguito il 40% dei voti (e nessun altra lista abbia, ovviamente, superato il 50% dei voti).

Per converso, se il sindaco viene eletto dopo il ballottaggio, e la lista o le liste collegate non hanno conseguito il 60% dei voti, anche in questo caso esse ottengono un premio di maggioranza (il 60% dei seggi), sempre che nessun altra lista o gruppo di liste abbia superato, al primo turno, il 50% dei voti.

Il procedimento dettato per l’ elezione nei comuni maggiori si applica anche alle province

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