Nel corso del Trecento diversi comuni diedero vita ad una istituzione più ampia, la «Mercanzia», che raggruppava i più cospicui interessi della città ed esercitava anche una giurisdizione generale in materia commerciale, senza peraltro sostituirsi alle singole associazioni di mestiere.

Tra i comuni e le corporazioni esistevano molti collegamenti: l’intervento delle magistrature cittadine era frequente sul terreno della politica economica ed anche nelle vicende interne delle arti, intrecciate per tanti aspetti con la vita e le istituzioni della città.

Poté accadere che

  • il comune imponesse alle arti una serie di controlli (come a Venezia);
  • che la legislazione cittadina modificasse l’assetto di una o più arti (come nella Bologna duecentesca);
  • che taluni istituti corporativi fossero accolti nel libro degli statuti della città (come a Milano per i notai e per i lanaioli);
  • che le corporazioni addirittura modellassero direttamente, in prima persona, le istituzioni comunali (come nella Firenze del tardo Duecento).

Questa variegata realtà di rapporti giuridico-politici non cancella mai, d’altra parte, il connotato fondamentale delle corporazioni medievali, che consisteva nell’autonomia.

Sotto questo profilo, più tardi le corporazioni mutarono volto, allorché il modello politico-giuridico delle autonomie medievali entrò in crisi e si andò affermando, nel corso dell’età moderna, il principio della sovranità dello Stato.

In questa fase storica la legittimazione delle associazioni di mestiere fu fatta derivare dall’autorizzazione, dal privilegio, dalla concessione sovrana, poiché la fonte di ogni giurisdizione era ormai ricondotta al sovrano. Ma l’ordinamento corporativo non scomparve.

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