L’equità

L’equità è un criterio di giudizio a cui ricorre il giudice per risolvere una controversia quando, a seguito delle peculiarità del caso, la rigida applicazione delle regole giuridiche porterebbe a dei risultati ingiusti. È prevista dal codice di procedura civile quale regola di giudizio agli art. 113 e 114. Il giudice può pronunciare secondo equità:

– o perché la legge espressamente gli accorda il potere in tal senso

– o perché c’è concorde richiesta delle parti se si tratta di diritti disponibili

Il diritto vivente

Si intende il diritto applicato. Infatti un ruolo fondamentale nell’interpretazione del diritto è svolto dalla giurisprudenza. Innanzitutto l’art. 2909 cc. stabilisce che l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa. Gli effetti della decisione quindi sono limitati solo alle parti in causa e ne consegue che uno stesso caso posa essere risolto da un altro giudice in maniera diversa.

Esistono però pronunce giurisprudenziali che, per l’autorevolezza degli organi da cui promanano, assumono una funzione di orientamento nell’interpretazione e nell’applicazione delle regole giuridiche. Ricordiamo:

– le pronunce della Corte d Giustizia dell’UE che sono vincolanti per i giudici nazionali purché non in contrasto con la costituzione

– le pronunce della Corte Costituzionale

– quella della Cassazione che non sono vincolanti ma hanno una forte funzione di orientamento per gli altri giudici

Quindi grazie alla giurisprudenza il diritto vive nella realtà giuridica ecco perché si parla di diritto vivente.

Diversa dalla interpretazione dei giudici è l’interpretazione dottrinale, che è quella che proviene dagli studiosi del diritto e che spesso orienta l’interpretazione dei giudici.

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