La capacità di agire. Le incapacità di protezione
La capacità di agire è la capacità di disporre dei propri diritti e di assumere impegni mediante manifestazioni di volontà.
Le cause principali per cui la capacità di agire può essere limitata o esclusa attengono a una riduzione o alla mancanza della capacità di intendere e di volere.
Il diritto intende proteggere l’incapace contro il pericolo che egli rechi danno a sé stesso. A questo scopo consente l’annullamento dei negozi giuridici stipulati dall’incapace.
Inoltre, in determinati casi, il diritto, affida a determinate persone il compito di provvedere agli interessi dell’incapace, avendo cura della sua persona, rappresentandolo negli atti civili, amministrandone i beni, o assistendolo nel compimento di certi atti. La possibilità che il genitore o il tutore si sostituisca all’incapace è esclusa quando si tratta di atti che implicano scelte di carattere strettamente personale.
Le cause che possono limitare o escludere la capacità di intendere e di volere sono la minore età, l’alterazione delle facoltà mentali e altre minorazioni.
La maggiore età è fissata al compimento del diciottesimo anno, e con essa si acquista la capacità generale di agire (art. 2 c.c.).
L’abituale infermità di mente che rende incapace di provvedere ai propri interessi dà luogo ad una sentenza di interdizione, quando sia necessaria per assicurare un’adeguata protezione all’incapace. L’interdetto è privo della generale capacità di compiere atti giuridici, tranne solo qualche eventuale e limitata eccezione, ed è affidato ad un tutore (art. 414 c.c.).
Se l’infermità di mente non è così grave da giustificare l’interdizione, si può pronunciare una sentenza di inabilitazione, che limita solo la capacità di compiere atti di ordinaria amministrazione e attribuisce all’inabilitato l’assistenza di un curatore (art. 415 c.c.).
La legge prende anche in considerazione la posizione delle persone che, per effetto di infermità, ovvero di una menomazione fisica o psichica, hanno necessità di un’assistenza per l’attuazione dei propri interessi. Per questi casi è prevista una amministrazione di sostegno (art. 404 ss. c.c.). l’amministrazione di sostegno si distingue dall’interdizione e dall’inabilitazione in primo luogo per la sua portata più limitata e poi perché può essere disposta anche solo per un periodo determinato.
Minori, interdetti, inabilitati, beneficiari dell’amministrazione di sostegno sono in stato in incapacità legale: assoluta quella dei minori e degli interdetti, che non possono stipulare validamente nessun negozio giuridico; relativa quella dei minori emancipati, degli inabilitati e dei beneficiari dell’amministrazione di sostegno, i quali hanno una più o meno limitata capacità di agire.
L’incapacità legale va distinta dalla effettiva incapacità di intendere e di volere, che si designa come incapacità naturale.
Quando vi è incapacità legale le norme protettive dell’incapace trovano applicazione anche se questi abbia la capacità naturale di intendere e di volere. In particolare il contratto, o altro negozio giuridico, stipulato dal minore o dall’interdetto è annullabile sempre, senza indagare se il minore sia particolarmente dotato, o se l’interdetto abbia agito durante un lucido intervallo.
Quando vi è solo incapacità naturale di intendere e di volere, la buona fede dell’altra parte può essere giustificata; di qui la seguente disciplina di legge, rivolta a conciliare razionalmente i contrapposti interessi:
- I negozi del diritto di famiglia compiuti da chi si trovi in stato di incapacità naturale di intendere e di volere possono essere annullati (art. 120 c.c.);
- L’incapacità naturale rende senz’altro annullabile il testamento (art. 591 c.c.), la donazione (art. 775 c.c.), e per analogia qualsiasi atto di liberalità;
- L’esigenza di tutelare l’affidamento è debole anche per gli atti unilaterali, in cui non vi è una controparte in senso proprio: essi sono annullabili se gravemente dannosi per l’incapace (art. 428 c.c.);
- L’affidamento si tutela nel campo degli affari, dunque nella materia dei contratti: perciò qui occorre non solo provare che l’atto reca un grave pregiudizio all’incapace, ma inoltre che risulti la malafede dell’altro contraente (art. 428 c.c.).
L’incapace di intendere e di volere non risponde civilmente dei propri atti illeciti (a meno che lo stato di incapacità derivi da sua colpa (art. 2046 c.c.)).
L’interdizione legale del condannato
Il condannato alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni è, durante la pena, in stato di interdizione legale, la quale, per ciò che concerne la disponibilità e l’amministrazione dei beni, implica gli stessi effetti dell’interdizione giudiziale (art. 32 c.p.). anche questa è un’incapacità di agire, ma con tutt’altro scopo:non già quello di proteggere il condannato, bensì quello di punirlo.