Olivecrona paragona il meccanismo della legislazione ad una centrale elettrica che sfrutti la corrente di un fiume: l’attitudine della popolazione corrisponde alla corrente.

Nella centrale la corrente viene trasformata in elettricità, la quale è poi distribuite nel territorio: le linee elettriche simbolizzano le singole leggi promulgate secondo la costituzione.

(ancora un’aporia stante il principio proprio della geometria legale).

In altri termini, l’ordinamento giuridico costruito dalla geometria legale come un meccanismo per il quale il singolo viene considerato come se fosse un automa sembra presupporre, per il suo funzionamento,un’attitudine profondamente radicata nell’animo dell’uomo. Un paradosso.

Ecco perché diventa ineludibile il problema dell’autonomia personale quale il sostrato reale dell’ordinamento giuridico.

Nell’espressione “autonomia” è implicita la disposizione del soggetto seguire una regola; che si tratti di una disposizione non convenzionale ma reale risulta incontrovertibilmente dalla struttura della relazione intersoggettiva, la quale è sempre determinata da regole convenzionalmente pose in quanto i soggetti siano disposti a seguirle realmente e non convenzionalmente.

Ma nell’espressione autonomia vi è anche qualcosa di più e cioè l’attitudine del soggetto all’autoregolamentazione; attitudine che comporta un problema dato che per essa il soggetto si viene a trovare nella situazione paradossale di essere il signore di sé e di sé schiavo.

È curioso come a questa situazione si riferisse Hobbes per sostenere una tesi opposta: secondo lui non è possibile che un soggetto sia vincolato verso se stesso perché chi può vincolare può sciogliere; perciò gli vincolato solo verso se stesso non è vincolato.

Tale posizione è innegabile se si parte dal preconcetto che la condizione del rispetto delle regole sia un atto di volontà. Ma se non si vuole ridurre l’ordinamento a un mero complesso di fatti empirici e il rispetto delle regole a mera soggezione alla forza, è necessario superare la concezione dell’autonomia come volontà e riconoscere che nell’anima di un uomo c’è un aspetto migliore e uno peggiore: quando la parte migliore ha il governo sulla peggiore ecco l’espressione “ essere padroni di se”, quando invece la parte peggiore e più forte ecco l’espressione “ essere schiavi di se stesso”.

L’autonomia insomma prima di un modo di fare è un modo di essere del soggetto umano, ciò che ne fa una persona naturalmente capace di comunicare. L’autonomia è dunque all’origine dell’ordinamento giuridico delle relazioni intersoggettive inteso come modalità della comunicazione interpersonale, attuantesi attraverso l’obbedienza delle leggi.

Se ne ha conferma nel segmento più difficile da giustificare dell’ordinamento giuridico: quello della sanzione penale. Affinché la sanzione non riduca chi vi sia esposto a mero strumento di controllo sociale, è necessario recuperare il fondamento etico-retributivo della pena inteso come conseguenza necessaria per fondamento etico dell’ordinamento giuridico.

Così si spiega anche il senso autentico dell’autonomia nel contratto: non c’è dubbio che sia possibile e conveniente intendere il consenso come concorso della volontà dei contraenti; ma questo non è il solo e neppure il primo modo di intenderlo infatti non può darsi concorso di volontà senza comunione di vedute. In altri termini con il consenso si evidenzia ciò che è di comune ai contraenti, che non è il prodotto della loro volontà di stare insieme.

Questo fa la differenza tra il rapporto contrattuale e il rapporto di dominio, che annulla l’autonomia tanto del servo che del padrone: il servo è tale per la sua disposizione a rinunciare alla libertà pur di sopravvivere; parimenti anche il padrone è asservito dal servo di cui ha bisogno come della sua ragione sociale per potersi affermare padrone.

Riflettendo su questo si potrebbe misurare l’equivoco nel quale sono in corso di quanti hanno ridotto il giuridico a formalità dell’economico: basterebbe lo schema del contratto per mostrare come sia ufficio del giuridico garantire che un rapporto economico (o altro che sia) non decada ad alienazione poiché per esso rileva la comunione delle vedute che è compito del giurista, legislatore o interprete che sia.

A condizione, beninteso, di riconoscere all’origine dell’ordinamento giuridico delle relazioni umane l’autonomia della persona.

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