Il dittatore, nominato in tempi più antichi magister populi, era un magistrato straordinario dotato di summum imperium e di summa potestas, nominato da uno dei consoli su proposta del senato o d’accordo con questo, in momenti di grave pericolo esterno o interno per la repubblica.

L’eccezionalità delle circostanze in cui si faceva ricorso alla dittatura imponeva l’ampiezza eccezionale dei suoi poteri, fondati su di un imperium, la cui portata era assolutamente maggiore rispetto a quella degli altri magistrati.

Compiuta attraverso dei rituali imposti dal mos ovvero dalla tradizione, la nomina del dictator rileva l’evidente connessione del sacro con questa magistratura dai connotati essenzialmente militari.

La dittatura, inoltre, va sottolineato, non ammetteva alcuna forma di collegialità.

Nella prassi, l’imperium del dictator trovava l’unico limite nella brevità del termine assegnato alla durata della carica, che era limitata al tempo necessario per il conseguimento dello scopo per il quale si era proceduto alla dictio e, comunque, non poteva essere esercitata per un periodo superiore ai 6 mesi: trascorsi questi, il dittatore era costretto a dimettersi.

A differenza degli altri magistrati, il dictor  nel lasciare la carica non rispondeva degli atti compiuti né rendeva conto delle somme assegnategli per lo svolgimento delle imprese militari.

Per quanto concerne, invece, il magister equitum, la cui carica aveva anch’essa una durata massima di sei mesi, quest’ultimo oltre che un ufficiale, era anche un magistrato di rango elevato, dotato di proprio imperium e a cui il dictator poteva affidare anche il comando di tutto l’esercito.

La sua scelta, però, era effettuata assolutamente a discrezione del dictator, di cui fungeva da lungotenente e questi poteva costringerlo in ogni momento ad abdicare, sostituendolo con altri di maggiore fiducia.

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