Il codice del 42 prevedeva solo due ipotesi di trasformazione: quella delle società e quella delle fondazioni. L’art. 28 cc dispone che “quando lo scopo è esaurito o è divenuto impossibile, o il patrimonio divenuto insufficiente, l’autorità governativa, anziché è chiara e distinta la fondazione, può provvedere alla sua trasformazione allontanandosi meno possibile dalla volontà del fondatore”, salvo che il negozio di fondazione non disponga diversamente, prevedendo che la fondazione si estingua e i beni siano destinati a terzi.

Tale trasformazione (che è esclusa espressamente per le fondazioni di famiglia) non comporta una modifica soggettiva dell’ente, ma solo una modifica dello scopo istituzionale della fondazione e nessun rapporto giuridico si scioglie.

La riforma delle società di capitali (d.lgs. 6/03) ha regolato per la prima volta la trasformazione eterogenea (di scopo e di ente). Gli articoli 2500 septies e octies hanno previsto la trasformazione delle società di capitali in associazioni non riconosciute e in fondazioni; e delle associazioni riconosciute e fondazioni, in società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata. La scelta del legislatore è dettata da ragioni di economicità: infatti si evita che un organismo che ha bisogno di vivere in una forma diversa, debba sciogliersi per ricomporsi nel tipo sociale prescelto.

Quest’operazione infatti oltre ad avere costi eccessivi, non garantirebbe la continuità dei rapporti sociali: infatti la trasformazione comporta il passaggio da un tipo di organizzazione ad un’altra, ma non l’estinzione del soggetto giuridico. Tuttavia il mantenimento dei rapporti giuridici e la continuità, hanno luogo solo nelle ipotesi in cui il soggetto giuridico muti solo la veste legale.

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