Con il termine privatizzazione si indica il passaggio da un regime giuridico di diritto pubblico ad uno di diritto privato. Il processo di privatizzazione delle attività sociali e culturali è in linea con la tendenza legislativa a riconoscere in capo a soggetti operanti “iure privatorum” la titolarità e l’esercizio di attività pubblicistiche (l. 142/90; 127/97 e il TUEL dlgs. 267/00). Il nostro ordinamento ha intrapreso la strada della trasformazione delle persone giuridiche pubbliche che svolgono attività nella sfera sociale, in persone giuridiche private, sul principio che questi organismi, collocandosi a metà tra lo Stato e il mercato, garantiscono la collettività dalle inefficienze di entrambi i sistemi.

Ciò è avvenuto sia in attuazione dei principi costituzionali che, sebbene incentrati sul modello del “Welfare State” non attuano un rigido monopolio della funzione assistenziale da parte dello Stato ma favoriscono e tutelano (artt. 2  18 Cost) il pluralismo; sia per l’impossibilità dello Stato di realizzare da solo gli interessi della collettività. Il fenomeno delle privatizzazioni iniziato negli anni 80 (Eni), è continuato negli anni 90 in un clima di necessità del risanamento del bilancio dello Stato e dell’emanazione di una norma a tutela della concorrenza e del mercato (l. 287/90).

La privatizzazione delle imprese pubbliche si componeva di due fasi: una prima fase (cd. privatizzazione formale) che comportava la trasformazione sul piano giuridico dell’impresa pubblica in società per azioni a prevalente partecipazione pubblica (poiché si ritenne che lo schema societario, costituendo un modello neutro, fosse adeguato al raggiungimento di interessi pubblici); e una seconda fase (cd. privatizzazione sostanziale ), col controllo della società ai privati. Lo Stato ha poi incentivato questi organismi con la previsione di una disciplina speciale e con forme di finanziamenti pubblici, raggruppandoli nell’ambito del “terzo settore” e qualificandoli come “ enti a statuto speciale o differenziato”.

Ciò tuttavia potrebbe comportare anche effetti distorsivi, potendosi creare una disparità di trattamento tra enti che possono usufruire di determinati contributi e sgravi fiscali (svolgendo anche attività in forma di concorrenza sleale) ed enti che ne sono esclusi.

Questi enti non profit hanno una funzione sussidiaria rispetto allo Stato nello sviluppo del settore assistenziale, arrivando ad esercitare una funzione di supplenza nelle ipotesi di crisi del “Welfare State”. Ciò pone tuttavia due problemi: l’individuazione di un organo di controllo delle attività di interesse pubblico privatizzate (tramite la costituzione di apposite Autority); e la delimitazione dei poteri del controllore (attraverso l’impugnazione dei provvedimenti dell’autorità di controllo dinanzi ai giudici amministrativi).

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