La difesa, essendo un diritto costituzionalmente garantito (art. 24 Cost.) di cui sono titolari non soltanto le parti ma anche alcuni soggetti del procedimento penale, può essere definita come la tutela contro un attacco che venga mosso ai diritti di un soggetto con qualsiasi procedura giudiziaria. In particolare, definiamo difesa penale quella forma di tutela che permette all’imputato:

  • di ottenere il riconoscimento della piena innocenza;
  • di essere condannato ad una sanzione non più grave di quella applicabile secondo legge.

Il difensore, titolare di una particolare competenza tecnico-giuridica, presenta qualifiche di tipo:

  • penalistico, ossia di esercente un servizio di pubblica necessità, considerabile come tale poiché i privati sono obbligati per legge a valersi dell’opera dei difensori;
  • privatistico, ossia di esercente una prestazione di opera intellettuale che lega il difensore al cliente;
  • processuale, ossia di rappresentante tecnico della parte.

L’imputato o l’indagato possono conferire due livelli di rappresentanza al difensore:

  • la rappresentanza tecnica, che consiste nel potere di compiere per conto del cliente tutti quegli atti che il codice riferisce a quella parte, eccezion fatta per quelli personalissimi. Tale rappresentanza viene conferita con una procura ad litem, ossia attraverso una dichiarazione resa all’autorità procedente, consegnata alla stessa dal difensore o trasmessa con raccomandata (art. 96 co. 2);
  • la rappresentanza volontaria, che consiste nel potere di compiere anche gli atti personalissimi, eccezion fatta per quelli esclusi in toto dalla procura (es. esame incrociato). Tale procura, comunque, rilasciata per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, deve contenere la determinazione dell’oggetto per cui è conferita e dei fatti ai quali si riferisce.

Nella nostra esperienza processuale, la rappresentanza tecnica assume la particolare forma dell’assistenza: il soggetto tutelato, infatti, non solo può essere presente a tutti gli atti del procedimento, ma può addirittura compierne alcuni senza essere rappresentato dal difensore. Per comprendere tale concetto basta analizzare la disposizione di cui all’art. 99 co. 2, sulla base della quale l’imputato può togliere effetto all’atto compiuto dal difensore prima che in relazione all’atto stesso sia intervenuto un provvedimento del giudice. Tra il cliente ed il difensore, quindi, si costruisce un rapporto di tipo fiduciario, tanto che:

  • il difensore può rinunciare sin da subito all’incarico comunicandolo (art. 107 co. 1);
  • la rinuncia non ha effetto fino a quando la parte non risulta assistita da un nuovo difensore (co. 3);
  • il difensore può rinunciare anche in un secondo momento all’incarico (art. 108 co. 1).
  • Nel nostro sistema il difensore ha doveri deontologici differenti rispetto a quelli del pubblico ministero. Mentre quest’ultimo, perseguendo un interesse pubblico, deve ricercare anche elementi di prova favorevoli all’imputato, il primo ha sì un dovere di correttezza (lealtà e probità), ma persegue un interesse privato, che non lo obbliga a ricercare elementi di prova sfavorevoli al suo assistito.
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