Il contenuto della comparsa di risposta è disposto dall’art. 167.1 c.p.c.:
– Il convenuto deve indicare tutte le difese, prendendo posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda;
– Deve indicare i mezzi di prova di cui intende avvalersi, in particolare i documenti che offre in comunicazione (questo requisito corrisponde al n. 5) dell’art. 163 c.p.c.);
– Deve formulare le conclusioni.
Prima della riforma tale articolo costitutiva il fondamento del principio della non contestazione (è molto importante sul piano pratico). Questo afferma che una parte ha l’onere di contestare immediatamente i fatti principali affermati dall’altra parte, in caso contrario il giudice può ritenerli verificati (non richiedono prova da parte di colui che li ha affermati).

Questa regola è espressamente prevista nel diritto processuale civile tedesco, da noi la si è ricavata per via interpretativa (era pacificamente ammessa). La giurisprudenza poi l’aveva estesa anche ai processi iniziati prima dell’entrata in vigore del sistema delle preclusioni.

Ora il legislatore ha recepito questa regola nell’art. 115 c.p.c. che afferma che il giudice deve porre a fondamento della decisione, oltre che le prove, anche i fatti non specificamente contestati dalle parti costituite. Questa regola vale per ciascuna delle parti costituitasi nel processo (non riguarda però la parte contumace. Nel rito societario, ora abrogato, questa regola valeva addirittura per la parte contumace).

La non contestazione comporta che il giudice può porre a fondamento della decisione i fatti affermati da una parte. Da questo si può dedurre che l’onere della contestazione vale per i fatti principali in quanto sono quelli che sono posti a fondamento della decisione (fatto costitutivo della domanda e fatti posti a fondamento dell’eccezione), non per quelli secondari. Un orientamento della giurisprudenza tende però ad estendere l’ambito della non contestazione anche a dei fatti secondari (fatti dai quali si deduce l’esistenza di altri fatti attraverso il meccanismo delle presunzioni semplici).

L’art. 115 c.p.c. parla di “specifica contestazione” dei fatti. Anche qui il legislatore non ha fatto che recepire la regola introdotta dalla giurisprudenza secondo cui la contestazione deve essere specifica, non generica (non si può dire “contestati tutti i fatti addotti dall’altra parte”). Era un po’ assurdo però che la parte dovesse contestare tutte le affermazioni fatte dall’altra parte. Il correttivo introdotto dalla giurisprudenza stava nel fatto che non era necessaria la specifica contestazione nell’ipotesi in cui una parte avesse operato una ricostruzione fattuale incompatibile. Quindi quando una parte aveva ricostruito i fatti in maniera incompatibile con l’esistenza del fatto non specificamente contestato, quel fatto si doveva considerare implicitamente contestato.

Esempio di abuso di tale regola: In una causa riguardante la responsabilità per fatto illecito da parte della banca, l’attore aveva prospettato un certo ammontare del danno. La banca si era limitata ad escludere la propria responsabilità. La sentenza aveva dato ragione all’attore limitandosi poi ad attribuirle il risarcimento da esso prospettato.
L’art. 115 c.p.c. ora parla di “fatto specificamente contestato”, per cui ci si chiede se valga ancora il correttivo approntato dalla giurisprudenza.

Il secondo comma dell’art. 167 c.p.c. prevede che il convenuto ha l’onere di proporre, a pena di decadenza:
– Le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio (eccezioni in senso stretto);
– Le eventuali domande riconvenzionali.
Per non incorrere nelle decadenze il convenuto le deve formulare nella comparsa di risposta tempestivamente depositata.

Poi l’articolo afferma che “se è omesso o assolutamente incerto il titolo o l’oggetto della domanda riconvenzionale, il giudice, rilevata la nullità, fissa al convenuto un termine perentorio per integrarla (non ordinerà la rinnovazione poiché questa presuppone la mancata costituzione del convenuto). Restano ferme le decadenze maturate e salvi i diritti acquisiti anteriormente all’integrazione”. Qualcuno, dalla divergenza fra questa formula e quella prevista dall’art. 164.4 c.p.c. (parla solo di “omessa o assoluta incertezza della determinazione della cosa oggetto della domanda o mancanza dei fatti costituenti le ragioni della domanda”), ha voluto trarre delle conseguenze: siccome nell’art. 167.2 c.p.c. si parla di “titolo”, questo sarebbe qualcosa di diverso dai “fatti costituenti le ragioni della domanda”, comprenderebbe non solo gli elementi di fatto costituenti le ragione della domanda, ma anche gli elementi di diritto. Ecco che allora la mancanza degli elementi di diritto determinerebbe la nullità della domanda ai sensi dell’art. 167 c.p.c. (e quindi la necessità dell’integrazione), mentre la mancanza degli elementi di diritto sarebbe soggetta ad una disciplina diversa. In realtà quest’opinione è da rigettare, semplicemente l’art. 167 c.p.c. è stato formulato una decina di anni dopo l’art. 164 c.p.c. La ratio vuole che vizi uguali, che riguardino la domanda proposta dall’attore o quella proposta dal convenuto, siano trattati allo stesso modo. Semmai dall’art. 167 c.p.c. si trae la conferma che anche gli elementi di diritto devono essere indicati nell’atto di citazione. Pertanto la mancanza degli elementi di diritto provoca la nullità della domanda proposta con atto di citazione o della domanda riconvenzionale (la sanatoria opera ex nunc).

Anche nell’art. 167 c.p.c. non si prevedono conseguenze nel caso di inosservanza di quell’obbligo che il giudice prescrive (termine entro il quale deve avvenire l’integrazione della domanda riconvenzionale). Anche qui si ritiene che si verifichi un’inammissibilità della domanda riconvenzionale (le conseguenze sono le stesse della mancata sanatoria dei vizi dell’editio actionis per quanto riguarda l’art. 164 c.p.c.).

A pena di decadenza poi deve essere svolta l’attività prevista nel terzo comma dell’art. 167 c.p.c. Se il convenuto vuole chiamare in causa un terzo deve farne dichiarazione nella comparsa di risposta tempestivamente depositata, poi deve chiedere anche lo spostamento della prima udienza (art. 269 c.p.c.). Non è previsto alcun sindacato da parte del giudice sull’interesse del convenuto a chiamare in causa un terzo (invece l’attore che vuole chiamare in causa un terzo nel corso del processo deve chiedere l’autorizzazione alla prima udienza, sempre che il suo interesse a chiamare un terzo sorga dalle difese del convenuto). Il giudice può sempre sindacare il requisito della comunanza di causa, quindi può anche dichiarare inammissibile la chiamata del terzo da parte del convenuto, così come può sindacare chi si versi in un’ipotesi di chiamata in garanzia. Nel caso di chiamata in garanzia impropria, la giurisprudenza la ammette solo se rientra nella competenza del giudice (vedi p. 103).

La contestazione va fatta immediatamente, nella prima difesa utile possibile. Altro problema è stabilire se la contestazione possa essere fatta tardivamente, e se si fino a quando? La risposta è positiva, questo però implica l’inversione dell’onere della prova (la parte che ha contestato tardivamente assume l’onere di provare l’inesistenza del fatto che avrebbe dovuto contestare).

Momento entro il quale la contestazione tardiva può avvenire:
– Secondo alcuni può avvenire fino al momento della precisazione delle conclusioni. È stato obiettato che è un po’ inutile ammettere la contestazione tardiva fino al momento della precisazione delle conclusioni se poi bisogna fornire la prova dell’inesistenza del fatto;
– La giurisprudenza ha introdotto un limite temporale che è quello delle preclusioni istruttorie (termine per la preclusione dei mezzi di prova). È un termine giusto, poiché molto spesso per provare l’inesistenza di un fatto (che è la conseguenza della contestazione tardiva) si allegano fatti incompatibili con la sua esistenza, che molto spesso sono fatti secondari. Dal punto di vista funzionale questi vanno assimilati alle prove, poiché è dalla loro conoscenza che si deduce la conoscenza di un fatto ignoto (quindi, visto che funzionalmente sono prove, per essi non valgono le preclusioni per i fatti principali, bensì quelle istruttorie).

L’attore dovrebbe costituirsi entro 10 giorni dalla notificazione dell’atto di citazione (art. 165 c.p.c.). Una sentenza della Corte costituzionale ha affermato che l’attore può notificare l’atto di citazione entro il termine di consegna all’ufficiale giudiziario, e non entro il termine in cui il destinatario riceve l’atto.
Esempio: per proporre l’appello ci sono 30 giorni dal momento della notifica della sentenza. Entro questo termine l’appellante deve notificare l’atto di citazione d’appello all’appellato. Questo significa che, entro il trentesimo giorno dalla notificazione della sentenza, l’appellato deve ricevere l’atto, oppure che l’appellante può considerare esaurito il proprio compito consegnando l’atto all’ufficiale giudiziario? La Corte ha affermato che per il notificante vale come giorno di notifica quello della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, e non quello di ricezione dell’atto da parte del notificato.
Questo perché non deve andare a danno della parte diligente il ritardo dell’ufficio.

Ci si è quindi chiesti da quando decorra il termine di 10 giorni entro il quale l’attore deve costituirsi, dalla consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario o dalla ricezione dell’atto da parte notificato? La Cassazione ha affermato che vale la regola della ricezione dell’atto da parte del notificato (il termine quindi decorre dal giorno della ricezione del destinatario).

L’attore si costituisce depositando una nota di iscrizione la ruolo, che è un atto con cui si chiede l’iscrizione della causa a ruolo (questo è un registro che prende il norme ruolo generale). L’attore poi deve presentare il proprio fascicolo in cui vi inserirà l’atto di citazione che ha notificato (una copia), i documenti e la procura.

Se si costituisce anche il convenuto (art. 166 c.p.c.) depositando il fascicolo, vi dovrà inserire la comparsa di risposta, l’atto di citazione che gli è stato notificato, i documenti e la procura. È possibile che si costituisca per primo il convenuto, in questo casa sarà lui che dovrà iscrivere la causa al ruolo.

Se l’attore non si costituisce entro 10 giorni dalla notificazione dell’atto di citazione in appello, la conseguenza è che l’appello è improcedibile e la sentenza passa in giudicato.
Se l’opponente non si costituisce entro 10 giorni dalla notificazione dell’atto di citazione nel procedimento per ingiunzione, il decreto ingiuntivo diverrà definitivo.

 

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