Questo termine è polivalente in dottrina: può indicare offesa degli interessi della norma incriminatrice, altre volte indica il risultato esterno della condotta umana rilevante per il diritto (segnando confine tra reati di mera condotta (formali) e reati naturalistici (materiali). Se con evento si intende l’offesa contenuto del reato si può anche accettare il termine come referente di una condotta idonea. E’ poco sostenibile la posizione di chi ritiene che il dato rispetto a cui va stabilita l’idoneità degli atti è l’evento naturalistico, conseguenza di condotta attiva ed omissiva (idea sbagliata nascente dall’abitudine di elaborare nozione di parte generale usando a modello la struttura dell’omicidio). Restano fuori da una tale prospettiva i reati formali: essi sono un porzione non indifferente degli illeciti previsti dal nostro C.P.. Secondo gallo però è assurdo pensare che il sistema definendo il tentativo non lo abbia applicato anche a quelle figure criminose prive di evento naturalistico.

Una formulazione che abbraccia reati materiali e reati formali la troviamo quando ravvisiamo nel requisito dell’idoneità la capacità dell’atto di porsi (con efficacia condizionante) nella serie causale che avrebbe portato a realizzare il delitto, se non fosse intervenuto un qualcosa che abbia impedito che il crimine trovasse realizzazione. Quindi idoneità come condizione (rispetto a ogni altro comportamento dello stesso agente o di terzi e rispetto verso ogni altro accadimento, mancando il quale il delitto non potrebbe verificarsi) e virtualità (in quanto sappiamo in partenza che, malgrado l’idoneità dell’atto o degli atti posti in essere , non si è pervenuti all’illecito che si voleva commettere, a cui poi non si è pervenuti). La virtualità ha però portato spesso ad asserti poco consistenti sul piano logico e anche a soluzioni d’ordine applicativo inaccettabili. Tutta questa dottrina è nata dall’affermazione per cui dobbiamo accertare l’idoneità a pervenire all’esito delittuoso di comportamenti di cui conosciamo in partenza che all’illecito non sono arrivati: da ciò bisogna argomentare come se la condotta posta in essere possa dirsi idonea, anche se poi non lo è, ovvero un atto valutato secondo massime di esperienza inidoneo, può rivelarsi in un contesto concreto idoneo al raggiungimento del risultato avuto di mira. ad esempio dare molto zucchero non porta alla morte, ma se lo dai a un diabetico, si. Per definire l’idoneità a volte si è richiamato il tentativo del C.P. Zanardelli: inizio dell’ esecuzione di un delitto con mezzi idonei. Da tutto ciò si è desunto nella dottrina attuale che l’idoneità riferita agli atti posti in essere evoca l’esigenza di un giudizio in concreto. Per Gallo ciò può esser anche giusto, ma ammonisce che chi tenesse conto di ogni circostanza in presenza di cui sono stati commessi atti oggetto del giudizio e del processo causale che ne è seguito dovrebbe sempre negare l’idoneità al delitto di atti che al delitto non hanno portato per cause estranee alla volontà dell’agente. il crimine sarebbe stato consumato se fossero stati effettivamente e concretamente idonei.

Quindi è necessario procedere in concreto al giudizio sulla idoneità, adottando il punto di vista di un estraneo dotato di conoscenze da uomo ragionevole in grado di giudicare con sufficiente correttezza il mondo esterno (giusto per Gallo). In questo modo si risolvono situazioni problematiche (esempio: si dà idoneità al comportamento di chi su un bus insinua una mano nella tasca del vicino per il portafoglio, ma in realtà esso è in un’altra tasca. Il giudizio esterno darà comunque idoneità al comportamento). Bisogna però per Gallo capire se questo giudizio debba tener conto anche degli eventi che si verificano dopo la condotta dell’agente: eventi di cui un osservatore, fermo a ciò che si consuma con atti volti a un certo fine, non può avvalersi. L’opinione generale è negativa (perchè sarebbero necessari solo atti precedenti o coevi alla condotta (dottrina della cosiddetta ”prognosi postuma”). Gallo però data una certa causa (intesa come insieme dei dati che si profilano necessari), ne consegue necessariamente una certa conseguenza. Nel diritto quando sono enunciate fattispecie prevedenti comportamenti produttivi di conseguenze sanzonatorie, la causa è identificata con la condotta del soggetto agente: procedimento corretto anche se si deve tener presente che realmente la condotta è solo una condizione che forma la causa: infatti ci potrà esser decorso causale per 1 o più fattori che hanno impedito il prodursi del fatto di reato, senza che ciò intacchi l’idoneità di atti di cui bisogna tener conto per la punibilità a titolo di tentativo. Cade allora l’idea della prognosi postuma, perchè un atto non perde l’idoneità che possedeva una volta che si appuri che non ha portato al risultato avuto di mira. gallo allora sostiene che il criterio della prognosi postuma non è imposto da esigenze logiche: quindi potrebbe anche esser accettato, ma occorrerebbe dimostrare la pratica utilità in ordine ai bisogni d’un sistema normativo. Gallo allora si chiede perchè fermarci, per decidere se un atto è idoneo o meno verso un certo referente, alle circostanze presenti al momento in cui l’atto si è realizzato. ad esempio io tento di uccidere una persona dandole dose insufficiente però di veleno. L’esito mortale è poi provocato con il mix tra veleno e altre sostanze ingerite dal soggetto: ma esso è scongiurato da una lavanda gastrica. In questo caso il soggetto ha comunque realizzato atti idonei a cagionare la morte d’un uomo: ma l’atto iniziale non presentava idoneità, questa è stata raggiunta per fatti sopravvenuti tali da non interrompere la serie causale. La somministrazione di veleno (insufficiente per la morte) è però condizione necessaria perchè si crei il pericolo. da ciò si deduce allora che un giudizio in concreto terrà conto anche delle circostanze successive alla condotta. Si fa astrazione solo di tutto quanto ha impedito che il delitto fosse compiuto, indipendentemente dalla volontà del soggetto.

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