Il comportamento doloso, che il legislatore delinea unitariamente (intorno al concetto di volontà), si profila contrassegnato da condotta in senso stretto (movimento volitivo diretto al movimento o all’inerzia corporea) e il momento intellettivo (che investe gli altri elementi del fatto). Davanti a un risultato dannoso previsto come probabile o possibile per eventi non presi direttamente di mira (questi ultimi sempre imputati per dolo), ci si chiede se serva un terzo requisito ulteriore. Ciò è avvalorato dal fatto che nel nostro ordinamento è prevista una forma di colpa che la legge definisce qualificata dalla previsione dell’evento: se questa previsione è stato psicologico compatibile con un rimprovero per colpa, al dolo occorrerà per forza aggiungere qualcosa in più. Secondo la teoria della probabilità è decisivo il grado di possibilità con cui l’agente ha previsto il prodursi dell’evento: in pratica l’agente sarebbe in dolo si è si è rappresentato come più probabile il verificarsi dell’evento che il non verificarsi, in colpa nel caso contrario. per gallo però o la norma penale tende a proibire solo quei comportamenti accompagnati dalla rappresentazione dell’evento come immancabile (allora non sarà possibile un dolo eventuale), o invece la norma impone di astenersi dall’azione anche se ci si rappresenti la semplice possibilità di evento dannoso (qui sarebbe arbitrario fare distinzioni qualitative quando siamo davanti questioni di mere differenze quantitative). per Gallo la via della teoria della probabilità è allora inattuabile: proprio perchè è difficile capire dove incominci la probabilità e finisca la possibilità.

Ci potrà esser una delimitazione introducendo stati affettivi (esempio: speranza, desiderio): così si dovrebbe escludere il dolo in chi agisca rappresentandosi la possibilità del verificarsi, come sviluppo della sua azione, di un fatto di reato, sperando quindi che ciò non avvenga. Ciò però non si traduce in comportamenti effettivi, rimanendo un premio ai buoni sentimenti.

C’è poi il criterio del consenso: si avrebbe dolo eventuale allorchè alla previsione dell’evento come possibile si unisce una certa presa di posizione del soggetto verso questo evento, accettandone il suo rischio relativo. Non va negato per gallo il rapporto tra ratio dell’evento e regolamentazione in cui la ratio si esprime: ma per lui questi concetti vanno distinti, altrimenti si giunge a formule generiche che in ultima analisi accrescono quegli spazi di interpretazione che si vogliono ridurre. Ma quando avverrebbe il consenso? Secondo l’opinione più fortunosa, bisogna accertare che cosa avrebbe fatto l’agente che ha previsto l’evento come possibile, se lo avesse previsto come sicuro. Se si conclude che egli avrebbe ugualmente agito ci sarà dolo eventuale altrimenti colpa cosciente. per gallo la prova di un accadimento ipotetico è però più delicata da raggiungersi della prova di un accadimento reale: per questo ciò che conta è il modo con cui una persona ha concretamente preso posizione davanti alle circostanze che le erano presenti alla decisione.

Occorre quindi puntualizzare la struttura del dolo eventuale, come si fa per quello intenzionale e diretto (accertare psicologicamente quindi quando uno ha accettato il rischio di un evento non direttamente preso di mira, né previsto come certo o molto probabile. Il dolo consiste in eventi mentali reali e non virtuali: quest’ultima caratteristica è della gran parte delle ipotesi di colpa). Il fatto costitutivo di reato dev’esser oggetto di rappresentazione positiva: ciò vuol dire che non rispondono alla peculiarità dell’imputazione dolosa espressioni come “in quelle condizioni il soggetto doveva rappresentarsi l’evento” (qui stiamo in situazioni virtuali, non c’è dolo). Quindi bisogna partire dal fatto che l’agente abbia avuto rappresentazione effettiva della possibilità del verificarsi dell’evento dannoso o pericoloso. Ma la prova più evidente del fatto che il soggetto che ha previsto un certo risultato ne ha anche accettato il rischio che la realizzazione della condotta potesse provocare evento dannoso, è il fatto che se non avesse accettato il rischio, si sarebbe astenuto dall’azione o dall’omissione produttiva di questo evento. Il consenso è nei fatti, allora. Quindi lo stato di dubbio non esclude il dolo.

Analizziamo ora ciò che si intende per “previsione dell’evento” nell’ipotesi di cosiddetta “colpa cosciente”. Ad esempio il giocoliere che lancia coltelli intorno al corpo di altra persona: egli prevede la possibilità di cagionare evento dannoso ma si fida di lui stesso e agisce pensando che ciò non avvenga. Il soggetto in pratica ha però escluso la possibilità positiva che l’evento possa verificarsi: “il reato non si verificherà”. La “colpa cosciente” presuppone proprio un atteggiamento psicologico diverso sicuramente da chi agisce senza configurarsi la possibilità astratta di cagionare risultato vietato, ma allo stesso modo non può confondersi con lo stato mentale di chi, rappresentandosi la possibilità di porre in essere un fatto di reato, non arrivi a superare questa posizione di dubbio.

Da tutto ciò si dovrà dedurre che l’atteggiamento dell’agente si definisca in termini di rappresentazione verso ciascuno degli elementi del fatto di reato, diversi dalla condotta in senso stretto. Sarà corretto parlare di “previsione” perchè ci riferiamo a un evento futuro rispetto alla condotta. A seconda dell’intensità di tale rappresentazione si delineano diverse forme di dolo realizzandosi anche un criterio alla cui stregua di gradua l’intensità di quest’ultimo. L’intensità massima si avrà quando la rappresentazione del verificarsi di un fatto di reato è lo scopo in vista di cui il soggetto si determina alla condotta in senso stretto: esso sarà il “dolo intenzionale”. Quando invece l’agente ha compiuto volontariamente un’azione rappresentandosene lo sbocco in un fatto di reato senza però che la rappresentazione eserciti efficacia determinante sulla volizione della condotta, avremo “dolo semplice” o “diretto”. Quando invece l’azione volontaria è accompagnata dalla rappresentazione della probabilità o della possibilità che il fatto criminoso si realizzi (escludendosi efficacia determinante, altrimenti dolo intenzionale) avremo “dolo eventuale” o “indiretto”.

Un cenno particolare va fatto al momento rappresentativo del dolo verso i dati, fattuali o di diritto, presupposti della condotta tipica. In giurisprudenza si ripete che, perchè ci sia dolo, i presupposti della condotta devono esser conosciuti e rappresentati con certezza al di fuori di ogni dubbio. Questo assunto trae origine dalla necessità di porre un confine preciso tra ricettazione e acquisto di cose di sospetta provenienza (712 C.P.). La certezza della provenienza lecita è propria del dolo di ricettazione:; il sospetto che la cosa acquistata a ogni titolo provenga da reato contrassegna l’elemento psicologico della contravvenzione. Tra le due ipotesi criminose viene fatta una delimitazione sul piano della volontà colpevole: ciò è inconcepibile per Gallo. Ma se eleviamo questa considerazione a principio generale, sarà difficile quando non c’è regolamentazione di confini scorgere le ragioni per cui il dubbio sull’esistenza di un presupposto della condotta sarebbe incompatibile col dolo. Se abbiamo un soggetto che configuri più fatti di reato, vediamo se questi fatti siano compatibili (cioè che il realizzarsi di uno ammetta gli altri: qui per determinare la forma del dolo che li realizza occorre considerare il modo in cui ognuno di essi è rappresentato dall’agente, potendosi quindi per ogni fatto configurare tutte le 3 combinazioni di forme di dolo. Es io sparo nella folla per ammazzare nemico. Dolo intenzionale verso il nemico, dolo diretto o dolo indiretto verso i terzi che raggiungo eventualmente) oppure non compatibili (precluda gli altri: fatti incompatibili tra loro, al soggetto è indifferente quale di esso si realizzi: abbiamo “dolo alternativo: non è un’altra forma di dolo: esso infatti si specifica nelle altre tre forme (esempio: dolo alternativo intenzionale) a seconda che il soggetto abbia fatto una certa azione per realizzare uno qualunque tra più fatti di reato previsti; si sia rappresentato come sicuro il verificarsi di uno di questi, e finalmente abbia agito rappresentandosi la probabilità del prodursi di uno qualunque di essi. )

Distinzione tra dolo di danno e dolo di pericolo (poco importante). con tali formule si possono intendere 2 e diverse situazioni. In un primo senso la distinzione concernerebbe l’aspetto materiale e oggettivo del reato: quindi dolo di pericolo quando il reato è considerato perfetto col semplice verificarsi di una situazione di pericolo, di dolo di danno in tutti gli altri casi. Ciò però decade nel momento in cui si ritenga che l’evento giuridico sia sempre necessariamente evento di lesione. Questa contrapposizione potrà allora esser accolta solo per quelle fattispecie la cui struttura dell’interesse tutelato risulta sia dal fatto di reato che dalla cosiddetta “condizione obiettiva di punibilità”. Qui si può distinguere l’offesa-contenuto del reato da quella del pregiudizio all’interesse oggetto della tutela disposta dalla norma incriminatrice. Partendo da ciò si potrà dire che il dolo elemento essenziale del reato è dolo di pericolo nei confronti dell’interesse protetto dalla disposizione configurante l’intera fattispecie criminosa: questo perchè l’offesa-contenuto del reato rappresenta la messa in pericolo dell’interesse più complesso. In una seconda accezione la qualifica di dolo di pericolo significa una semplice modalità di realizzazione dell’elemento soggettivo in parola: agirebbe con dolo di pericolo chi si rappresentasse la semplice possibilità del verificarsi della lesione del bene tutelato: così però c’è equiparazione col dolo eventuale e si perde quindi ogni autonomia.

Distinzione tra dolo generico e dolo specifico (molto importante). Il primo si ha quando la norma incriminatrice esige solo che il dolo investa gli elementi del fatto tipico più l’offesa esprimente il disvalore giuridico di quest’ultimo. Il secondo si ha quando, alla stregua di una certa norma incriminatrice, è necessario agire in vista di uno scopo, fissato da legge, la cui realizzazione non trova riscontro sul piano della fattispecie obiettiva. In queste ipotesi il dolo è caratterizzato da una composizione strutturale cosicchè è posto un problema di oggetto con riferimento al risultato in vista di cui si agisce se da un lato cioè l’efficienza causale rispetto alla volizione svuota di rilevanza ogni indagine circa l’intensità di essa, d’altra parte è indubbio che ognuna delle regole dettate in tema di errore vale anche per l’oggetto della rappresentazione costitutiva del particolare elemento integrante il dolo specifico. Per il resto è chiaro che questo dolo specifico può esser intenzionale (quando a spingere il colpevole ad agire sia stato la rappresentazione dell’intero fatto di reato), diretto (se restando lo scopo il fatto è preveduto come certo), eventuale (esempio: chi con finalità di profitto si impossessi di una cosa altrui).

Reati a “consumazione anticipata”. In essi, correlati a quelli a dolo specifico, la “volontà” si estende ad abbracciare un evento non richiesto per la consumazione. In questi ultimi manca la rilevanza esplicita dello scopo (necessaria per il dolo specifico).

Infine si valutino i diversi gradi dell’intensità dell’elemento psicologico in parola: vs la colpa la valutazione dell’intensità del dolo imposta dal 133 si ispira a canoni molto precisi.

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