L’equivoco art. 133 co. 2, pur indicando gli elementi fattuali da considerare, non ne fornisce i criteri finalistici di valutazione. Gli stessi elementi, quindi, possono assumere un significato diverso od opposto a seconda che siano valutati nella prospettiva della rimproverabilità o della potenzialità criminale del soggetto. Ne consegue che una corretta interpretazione dell’art. 133 è inscindibilmente connessa al problema della finalità della pena.

Poiché il sistema desumibile dal codice penale e dalla Costituzione è dualistico (punitivo-retributivo e preventivo-rieducativo), è coerente che tale dualismo passi attraverso il corpo dell’art. 133, e appare quindi corretto attribuire alla capacità a delinquere una funzione bidimensionale:

  • una funzione retrospettivo-retributiva, caso in cui la capacità a delinquere va intesa come capacità morale di compiere il reato commesso: tanto maggiore è la responsabilità quanto maggiore è l’attribuibilità morale del fatto al suo autore.
  • una funzione prognostico-preventiva, caso in cui la capacità a delinquere serve ad accertare l’attitudine del soggetto a commettere nuovi reati: maggiore o minore è la pena a seconda che più o meno intensa sia la potenzialità criminosa del soggetto.

Quanto agli elementi, tutti ambivalenti, da cui va desunta la capacità a delinquere, essi sono:

  • il carattere del reo, che, a differenza del temperamento (immodificabile), si presenta come acquisitivo e dinamico, costituendo il risultato dell’interazione tra temperamento ed ambiente esteriore.
  • il motivo a delinquere, che costituisce la causa psichica della condotta umana, ossia la forza psichica che ha indotto l’individuo ad agire.

Il motivo può essere:

  • conscio (o consapevole), se lo stimolo all’azione è presente alla coscienza del soggetto come ragione che lo spinge ad operare.
  • inconscio, se opera come forza profonda, ignota allo stesso agente.

Il motivo (o movente), quindi, si differenzia dallo scopo, il quale, consistendo nella rappresentazione di un risultato da perseguire, ha sempre carattere conoscitivo.

  • la vita anteatta: poiché la condotta di vita rappresenta la proiezione esterna della personalità del soggetto, vanno innanzitutto considerati, data la loro indubbia importanza, non solo i precedenti penali (es. condanne anteriormente riportate), ma anche i provvedimenti giudiziali (es. interdizione, divorzio). Circa la vita anteatta in generale, poi, ne vanno considerati tutti gli aspetti che, pur se non strettamente inerenti al reato, possono costituire indici significativi del modo di essere e di comportarsi della persona.
  • il comportamento in generale, anteriore, contemporaneo o susseguente al reato: sebbene tutti gli aspetti della condotta possano essere presi in considerazione, maggiore importanza hanno quegli atteggiamenti, diversi da quelli tipici, che si trovano in specifico rapporto col reato commesso.
  • l’ambiente, ossia il contesto in cui il reo vive e svolge la sua attività. Tale ambiente, oltre che sulla formazione del carattere, può influire anche sulla genesi del singolo reato, essendo indubbio che le circostanze esteriori esercitino un grande influsso sulla criminalità latente.
Richiedi gli appunti aggiornati
* Campi obbligatori

Lascia un commento