1). Il dolo intenzionale (o diretto di primo grado) si ha quando il soggetto ha di mira proprio la realizzazione della condotta criminosa (reati di condotta), ovvero la causazione dell’evento (reati di evento). La realizzazione del fatto illecito costituisce l’obiettivo che dà causa alla condotta.

2). Il dolo è diretto (o di secondo grado) tutte le volte in cui l’agente si rappresenta con certezza gli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice, e si rende conto che la sua condotta sicuramente la integrerà. Questa forma di dolo si configura però, quando la realizzazione del reato non è l’obiettivo che dà causa alla condotta, ma costituisce solo uno strumento necessario perché l’agente realizzi lo scopo perseguito (es. terrorista, che per sequestrare un politico, è costretto a sparare contro gli uomini della scorta con la quasi certezza di provocarne la morte (che avrebbe preferito evitare). Questa figura di dolo è caratterizzata dal ruolo dominante della rappresentazione. Un caso celebre, verificatosi a Berna nel 1875, è il caso del signor Thomas che, per intascare il premio di assicurazione, fa saltare in aria il battello di sua proprietà, pur essendo certo che avrebbe causato la morte di tutto l’equipaggio.

3). Il dolo eventuale o indiretto, ha per presupposto che il soggetto agisca senza il fine di commettere reato, altrimenti sarebbe dolo intenzionale. L’agente deve rappresentarsi la commissione di un reato solo come conseguenza possibile di una condotta diretta ad altri scopi (es. Tizio, disturbato da un gruppo di ragazzi che schiamazzano, lancia contro di essi dal balcone una bottiglia di vetro, pur prevedendosi possibili ferimenti, e colpendo di fatto un ragazzo). Occorre quindi, come requisito minimo, che l’agente preveda la concreta possibilità di verificarsi dell’evento lesivo.

  • Secondo la teoria della possibilità, questa previsione è sufficiente per la configurabilità del dolo, infatti agisce già dolosamente chi prevede la concreta possibilità di provocare una lesione di un bene giuridico e ciononostante agisce ugualmente.
  • Secondo la teoria della probabilità, invece, occorre anche che l’agente si rappresenti come probabile (e non solo possibile) la verificazione dell’evento lesivo.
  • Questo quid pluris richiesto, è stato ravvisato dalla teoria del consenso in un’approvazione interiore della realizzazione dell’evento preveduto come possibile, ma ovviamente nel nostro ordinamento non assume rilevanza il semplice atteggiamento interiore.
  • Per questo motivo è da preferire la teoria dell’accettazione del rischio, che ritiene necessario che l’atteggiamento interiore manifestato dal soggetto si avvicini il più possibile ad una presa di posizione della volontà capace di influire sullo svolgimento degli accadimenti. Secondo questa teoria (oggi dominante) perché il soggetto agisca con dolo eventuale, non basta la rappresentazione mentale della concreta possibilità di verificazione dell’evento; è anche necessario che egli decida di agire anche a costo di provocare un evento criminoso. Dato che l’accettazione del rischio si traduce in un’accettazione (sia pur sofferta) dello stesso evento lesivo che può verificarsi, il soggetto decidendo di agire a costo di provocare l’evento finisce col consentire l’evento stesso. Per contro ove il soggetto si rappresenti la possibilità dell’evento lesivo, ma confidi nella sua concreta non verificazione, si avrà colpa cosciente o con previsione.

Anche se è la teoria preferibile, l’applicazione del criterio dell’accettazione de rischio va incontro a difficoltà in tutti quei casi in cui l’agente, pur prospettandosi la possibilità di provocare un evento lesivo, tuttavia non la prende troppo sul serio e sfugge ad una decisione in forma ponderata dell’accettazione del rischio. In ogni caso poi,le diverse teoria convergono nei concreti risultati pratici: così sia la teoria della possibilità che del consenso possono condurre a soluzioni analoghe se rispettivamente, il giudizio di possibilità viene formulato col dovuto rigore e l’estremo del consenso viene ricostruito nella sostanza come accettazione del rischio e non mera accettazione interiore.

Ovviamente l’accertamento del dolo eventuale dà luogo a diverse problematiche in sede processuale: il giudice infatti, si trova a dover accertare processi psicologici complessi che si manifestano interiormente nell’agente, senza che spesso ne sia visibile una traccia esterna; per tale motivo è inevitabile il ricorso a regole generali di esperienza: il dolo eventuale sarà di regola da escludere nel caso di rischi lievi e ordinari, mentre sarà da affermare nel caso di rischi gravi e tipici.

4). Il dolo alternativo si ha quando l’agente prevede come conseguenza certa (dolo diretto) o possibile (dolo eventuale) della sua azione, il verificarsi di due eventi, senza sapere quale si verificherà in concreto. (es. Tizio aggredisce Caio con due diversi colpi di pugnale, volendone indifferentemente il ferimento grave o la morte). Il dolo alternativo non è una figura autonoma, ma riflette situazioni in cui il soggetto, agendo con dolo diretto o eventuale, si rappresenta come conseguenza del suo agire, più eventi tra loro incompatibili.

5) dolo generico e dolo specifico. Il primo consiste nella coscienza e volontà di realizzare il fatto tipico (si ha congruenza tra volontà e realizzazione); il secondo consiste in uno scopo o finalità particolare e ulteriore che l’agente prende di mira, ma che non è necessario che si realizzi effettivamente perché il reato si configuri (es. nel delitto di furto è necessario che l’agente oltre a volere l’impossessamento della cosa mediante sottrazione, persegua l’ulteriore fine di trarne profitto, ovviamente però perché il reato si configuri non è necessario che il profitto sia effettivamente realizzato). La figura del dolo specifico assolve 3 funzioni:

  • Restringe l’ambito della punibilità, perché senza il perseguimento della particolare finalità indicata dalla legge, viene meno: questo effetto restrittivo opera naturalmente solo se il dolo specifico si aggiunge a un fatto già base dell’illecito.
  • Determina la punibilità di un fatto che risulterebbe altrimenti lecito (es. il fatto di associarsi sarebbe lecito senza il fine di commettere delitti).
  • Può produrre un mutamento del titolo di reato (es. il diverso scopo perseguito distingue il delitto di sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione da quello a scopo di estorsione).

6) dolo di danno e dolo di pericolo. Il primo consiste nella volontà di realizzare un fatto che provoca la completa lesione dell’interesse protetto; il secondo nella volontà di provocare la semplice esposizione a pericolo del bene.

 

Accertamento del dolo

Così come ogni altro elemento costitutivo del reato, anche il dolo deve essere provato, solo che la prova ne è difficile. L’indagine del giudice è esente da limiti predeterminabili a priori, l’organo giudicante deve tener conto di tutte le circostanze che possono assumere un valore sintomatico ai fini dell’esistenza della volontà colpevole. Ad esempio la prova dell’esistenza del dolo, può essere desunta dalle modalità estrinseche della condotta, dallo scopo perseguito dall’agente, dal comportamento tenuto dal colpevole successivamente alla commissione del fatto.

Nella valutazione di tutte le circostanze significative, si ricorre a regole di esperienza, la conformità alle quali è sufficiente a far ritenere dimostrato il fatto psicologico da provare, in mancanza di dati da cui sia possibile inferire che, nel caso concreto, i fatti si sono svolti diversamente da quanto l’esperienza insegna.

Sono poi inammissibili gli schemi presuntivi, dato che il concetto stesso di presunzione cozza col dolo inteso come coscienza e volontà reali di un fatto criminoso.

 

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