Il concetto di consumazione esprime, tecnicamente, la compiuta realizzazione di tutti gli elementi costitutivi di una fattispecie criminosa: si è quindi, in presenza di un reato consumato tutte le volte in cui il fatto concreto corrisponde interamente al modello legale delineato dalla norma incriminatrice in questione.

  • Nell’ambito dei reati di mera condotta, la consumazione coincide con la compiuta realizzazione della condotta vietata (furto quando l’agente si impossessa della cosa altrui);
  • Nell’ambito dei reati di evento, invece, la consumazione presuppone, oltre al compimento dell’azione, anche la produzione dell’evento (nel caso dell’omicidio la completa integrazione del reato si ha solo nel momento in cui si verifica la morte di un uomo).

La determinazione del momento consumativo del reato assume rilevanza sotto diversi profili:

  • In ordine all’individuazione della norma da applicare nel caso di successione di leggi penali nel tempo (art. 2);
  • Rispetto all’inizio della decorrenza del termine di prescrizione (art. 158);
  • Ai fini dell’amnistia e dell’indulto, di solito concessi limitatamente ai fatti commessi fino al giorno precedente la data della legge;
  • Ai fini della competenza territoriale;
  • Per l’applicazione della legge penale italiana rispetto alla legge penale straniera (art. 6).

Il concetto di consumazione funge anche da termine di riferimento rispetto alla figura del tentativo. Es. un ladro, intenzionato a sottrarre una serie di oggetti, riesce ad asportarne solo alcuni per cause indipendenti dalla sua volontà. Sembrerebbe ricorrere un’ipotesi di furto non ancora consumato, perché il ladro interrompe l’azione prima di impossessarsi di tutti gli oggetti presi di mira; ma tale scarto tra programmato e realizzato è irrilevante dal momento che, ai fini della consumazione del reato di furto, è sufficiente che l’agente si impossesso anche di un solo oggetto.

La figura del delitto tentato ricorre nei casi in cui l’agente non riesce a portare a compimento il delitto programmato, ma gli atti parzialmente realizzati sono tali da esteriorizzare l’intenzione criminosa; diversamente, ci si troverebbe di fronte ad un mero proposito, ovviamente irrilevante dato il principio di materialità.

Il fondamento della punibilità del tentativo

  • Secondo la teoria oggettiva il fondamento della punibilità del tentativo è costituito dall’esigenza di prevenire l’esposizione a pericolo dei beni giuridicamente protetti.
  • Secondo le teorie soggettive, il fondamento della punibilità del tentativo è il suo assurgere a sintomo di pericolosità criminale. Questa è una concezione tipica dei regimi totalitari: assumendosi a punto di riferimento della punibilità la manifestazione di una volontà individuale ribelle alla volontà generale dello Stato, il fondamento della punibilità del tentativo andrebbe individuato nel fatto che l’azione tentata rappresenta l’indice di una volontà ribelle. Però se si considera questo il fondamento, allora il legislatore dovrebbe punire indifferentemente sia il delitto consumato che tentato, dato che in entrambi i casi ci si trova di fronte ad una stessa volontà ribelle all’ordinamento.
  • Le teorie miste o eclettiche si sforzano di mettere insieme la motivazione oggettiva e soggettiva: muovono dal presupposto che il tentativo è espressione di una volontà ribelle, ma ritengono meritevoli di punizione solo quelle manifestazioni di volontà ribelle che siano in grado di scuotere la fiducia dei cittadini nell’ordinamento penale. Queste teorie potrebbero portare fino al punto di ritenere punibile anche il tentativo privo di concreta pericolosità.

La teoria oggettiva è preferibile, perché si ricollega in maniera più coerente con gli irrinunciabili presupposti di un diritto penale del fatto: presupposti riassumibili nella esigenza che il proposito criminoso si traduca in un comportamento materiale che, a sua volta, produca un’effettiva lesione del bene protetto.

Da un lato, l’art. 56 menziona un requisito, quello dell’idoneità dell’azione, che trova spiegazione solo nell’ambito di una concezione oggettivistica: l’idoneità, infatti, non può che essere rapportata all’attitudine della condotta materiale ad aggredire il bene tutelato.

Dall’altro l’art. 49, parlando di reato impossibile per inidoneità dell’azione, conferma che nel nostro ordinamento il tentativo inidoneo non è rilevante.

Il tentativo come:

  • Messa in pericolo del bene protetto. Il tentativo rappresenta la lesione potenziale e non effettiva del bene protetto, e ciò giustifica una minore severità del trattamento penale;
  • Titolo autonomo di reato. Dal punto di vista strutturale il delitto tentato è un delitto perfetto, perché presenta tutti gli elementi necessari per l’esistenza di un reato.

 

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