La lettera del 56 esclude che possa darsi tentativo di contravvenzione (essa è una scelta meramente politica, non ci sarebbe nulla di strano altrimenti).

“Delitti di attentato” (241) Oltre a ciò il sistema non prevede il tentativo dei cosiddetti  ”delitti di attentato” (essi sono i reati la cui condotta è tipicizzata alla stregua di una potenzialità causale, alla stregua di un mero finalismo: in pratica si esige che la condotta sia rivolta e idonea semplicemente a causare un certo risultato). Questa tecnica è usata ad esempio quando l’evento rispetto cui la condotta è orientata è di tale gravità da implicare praticamente l’estinzione dell’ ordinamento statuale, ovvero quando l’evento verso cui si proietta l’azione è di significato negativo si da giustificare la più grave delle sanzioni per il semplice cercare di realizzarlo. Questo tipo di delitti ha struttura più evanescente rispetto a quella del delitto tentato ex 56. Se però interpretiamo, magari il silenzio del 241, gli “atti diretti a…” come atti diretti in modo non equivoco, dovremmo concludere che le figure di attentato sono strutturalmente delitti tentati, ma per Gallo è sbagliato ciò: infatti non trova giustificazioni plausibili qualificare in questo modo “gli atti diretti a. . ”. La configurabilità poi di questi delitti tentati diviene impossibile perchè si dovrebbe ammettere la rilevanza di atti idonei e diretti non equivocamente a porre in essere atti diretti a un risultato assai più alto del livello della più alta antigiuridicità, quindi i confini dell’illecito penale sarebbero allargati oltremodo.

I dubbi maggiori sulla configurabilità del tentativo rispetto a certi delitti nascono dalla vischiosità che spesso caratterizza l’impiego di principi e concetti giuridici. Quindi nel caso ad esempio del tentativo si continua a leggere un testo (novellato) riportandolo a categorie che il legislatore aveva superato: l’idea che esso si basi sull’inizio di esecuzione della condotta tipica (anche se non espressamente enunciata) ispira la presa di posizione davanti a questioni sorgenti nell’applicazione della formula di legge. Questo argomento è avanzato da chi sostiene che non si può dar concretezza al 56 senza richiamare il codice abrogato. verso ciò si può dire che il criterio adottato dall’attuale sistema è più che sufficiente.

Delitti “unisussistenti” . Essi sono delitti che si realizzano e consumano con un unico atto (esempio: ingiuria commessa con una sola parola). L’incompatibilità del tentativo è spiegata dal fatto che prima si realizza il fatto materiale (in questo caso dell’ingiuria) non c’è nulla di penalmente rilevante, dopo la parola incriminata, il delitto è perfetto (così ragionando si dimentica che il problema non è nella realizzazione istantanea del delitto, bensì nel verificare se prima della parola che realizza il delitto ci siano atti idonei/non equivoci diretti all’atto stesso. ciò è quasi sempre impossibile, in quanto è difficile ripercorrere i processi mentali precedenti la pronuncia del detto ingiurioso. Se però ciò si accerta, ci sarà possibilità del tentativo)

Delitti di omissione propria. Essi sono delitti il cui fatto oggettivo si esaurisce tutto nella mancata tenuta di una condotta a cui si era giuridicamente obbligati. L’opinione prevalente è quella che non ci può esser tentativo dove non si può dar inizio di esecuzione senza dar luogo a consumazione dell’illecito. Si è già visto che riguardo a una qualsiasi omissione, deve sempre considerarsi apposto il termine entro cui occorre compiere l’azione positiva richiesta. Se a questo elemento cronologico non ci si riferisce, diviene impossibile ritenere uno colpevole d’un comportamento omissivo. Tuttavia non è detto che la condotta omissiva si perfezioni sempre alla scadenza del termine. ad esempio un soggetto deve consegnare certe derrate a pubblici ammassi: se distrugge queste merci, viene meno al dovere di consegnare prima del termine entro cui doveva fare il versamento. A questo punto il problema del tentativo dell’omissione torna ad esser quello comune ad ogni ipotesi di realizzazione del modello ex 56, della demarcazione tra atti idonei non equivoci e delitto perfetto. Con tutte le difficoltà probatorie, si potrà dire che la scadenza del termine o la causazione di uno stato di fatto/diritto che precluda l’azione dovuta possano esser preceduti da atti rispondenti ai requisiti del delitto tentato.

Delitti di omissione impropria. Essi sono delitti qualificati da un evento naturalistico conseguenza della condotta omissiva ex 40 2°. Giurisprudenza/dottrina ritengono unanimemente la loro configurabilità come tentativi di delitti (esempio: balia che cessa di nutrire il bimbo, ma viene scoperta prima che lo stato di denutrizione sia irreversibile).

Delitti sottoposti a condizione obiettiva di punibilità. Essi sono illeciti a fattispecie complessa, in cui si enuclea accanto al fatto costitutivo di reato, un elemento ulteriore che condiziona la sanzionabilità della fattispecie, ma è estraneo al reato. Essi sono frutto di una tecnica legislativa che mira a coagulare intorno a certi eventi l’incriminabilità di comportamenti a cui o è ancora incerta la realizzazione dell’offesa agli interessi tutelati ovvero perseguire il comportamento lesivo di tali interessi prima che l’offesa sia divenuta evidente esporrebbe a rischi/costi sociali maggiori di quelli derivanti dall’impunità. Ammettere però la punibilità (anche a titolo di tentativo) di condotte non accompagnate dall’elemento che è indispensabile per la punibilità del delitto perfetto metterebbe il sistema in contrasto con le scelte. Infatti per la punibilità del delitto perfetto un quid pluris per la realizzazione del fatto illecito e si farebbe a meno di questo quid pluris anche per il tentativo, cioè per l’ipotesi meno grave. Senza poi contare che se nel tentativo si potesse prescindere dalla condizione obiettiva di punibilità, si arriverebbe alla conclusione che ad esempio ogni distrazione di propri beni operata dall’imprenditore sarebbe tentativo di bancarotta se non fosse seguita dalla sentenza di fallimento.

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