Nella pratica, l’ONU ha anche fatto ricorso a un diverso tipo di operazioni, denominate operazioni di mantenimento della pace (peace-keeping operations). Queste operazioni si caratterizzano per l’obiettivo di evitare la continuazione o l’inasprimento di un conflitto, sia esso internazionale o interno, e per il loro carattere di imparzialità, riguardo alle parti coinvolte nel conflitto e alle loro ragioni. Si tratta di operazioni che richiedono il consenso degli stati sul cui territorio si svolgono e non comportano l’uso della forza militare da parte dei contingenti inviati dall’ONU, se non a titolo di legittima difesa.

Le operazioni per il mantenimento della pace non sono esplicitamente previste da alcuna norma della Carta.

Negli ultimi tempi sono state istituite alcune operazioni miste di peace-keeping e di peace-enforcement, vale a dire operazioni di mantenimento della pace autorizzate a fare uso della forza, qualora questo si rivelasse necessario per dare attuazione al loro mandato.

Si può anche verificare il caso che il Consiglio di Sicurezza autorizzi gli stati membri a istituire una forza multinazionale di pace, che operi per la realizzazione di determinati obiettivi.

Confermano il generale riconoscimento della legittimità delle operazioni di mantenimento della pace e ne rafforzano la rilevanza alcuni importanti trattati multilaterali che accordano una protezione speciale al personale impegnato nelle operazioni e qualificano come crimine di guerra l’attacco intenzionale contro di esso.

 

La struttura delle missioni

A causa della mancata attuazione della carta nella parte in cui era prevista la costituzione di strutture militari permanenti, si è formata su basi consuetudinarie una disciplina che regola la costituzione ed il funzionamento delle missioni dell’Onu: sono gli stati membri che mettono volontariamente a disposizione i propri contingenti ed è il consiglio di sicurezza che delega al segretario generale il compito di costituire le singole missioni.

Il finanziamento delle missioni istituite grava in linea di principio sul bilancio dell’organizzazione e rientra nella responsabilità collettiva degli stati membri: l’Onu finisce così per essere quasi una sorta di “agenzia” che fornisce missioni militari a sostegno di esigenze internazionalmente apprezzate. Le unità della singola missione sono poste sotto il comando del segretario generale.

L’autorizzazione preventiva del Consiglio di sicurezza ad ope­razioni di peace-enforcement da parte di gruppi di Stati od altre organizzazioni internazionali poiché l’Onu non è in grado di assorbire direttamente la gestione di tutte le azioni militari, in particolar modo di quelle coercitive (peace-enforcement), il consiglio di sicurezza si avvale delle potenzialità operative di Stati o organizzazioni internazionali, indicazione che può assumere anche valenza obbligatoria (ad esempio nel 1990 quando il consiglio ha istituito una zona d’interdizione navale nel Golfo Persico contro l’Iraq.

Tuttavia la prassi consuetudinaria ormai consolidata è quella di autorizzare le dimissioni da parte di una coalizione volontaria di Stati membri. Alla stregua delle operazioni dell’Onu, anche quelle autorizzate possono essere di peace-keeping o di peace-enforcement, anche se la loro caratteristica principale è la loro possibile valenza coercitiva. Tale caratteristica risale al secondo dopoguerra quando la Corea del luglio fu invasa dalla Corea del Nord e, a fronte dell’inerzia dell’ URSS, il consiglio di sicurezza raccomandò ai paesi membri di sostenere la Corea del sud e inviò un esercito statunitense autorizzando lo stesso a battere bandiera dell’Onu.

Analogamente accadde per l’operazione “Desert Storm” dopo l’invasione del Kuwait da parte del Iraq. Tuttavia dall’iniziale esperienza coreana ci sono due differenze di rilievo: in primo luogo la formula utilizzar canone quella della raccomandazione ma dell’autorizzazione; in secondo luogo l’autorizzazione non confusa con il riconoscimento della legittima difesa, in quanto le Nazioni Unite in questi casi intervengono a titolo di polizia internazionale. Tant’è vero che l’autorizzazione all’uso della forza in questo caso esprime una determinazione del consiglio, assorbendone la valenza decisa ex articolo 103 della carta.

Talvolta il consiglio sollecita gli Stati membri ad utilizzare strumenti organizzativi normativi esistenti a livello regionale al fine di concretizzare l’autorizzazione all’uso della forza: in questi casi la guida della missione viene assunta da un’organizzazione internazionale che opera nell’ambito della propria area geografica (ad esempio l’Unione Africana). Così come il consiglio di sicurezza può autorizzare una missione coercitiva, allo stesso modo alla facoltà di modifica o sostituirla con un’altra missione autorizzata (cosiddetto fenomeno di “codeployment”).

 

L’avallo successivo del Consiglio di sicurezza alle iniziative unilaterali di uso della forza

il consiglio di sicurezza si esprime in relazione ad ogni fatto suscettibile di minacciare la pace e la sicurezza internazionale, anche relativamente ad iniziative che non siano state da esso preventivamente autorizzate. Dunque se trovandosi ad esaminare l’uso della forza da parte di Stati organizzazioni internazionali il consiglio di sicurezza avalla l’azione esterna, esso la fa propria ed automaticamente ne determina la legittimità.

 

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