La vicenda post-costituzionale, tuttavia, ha lasciato aperto il problema di quale regolazione riservare al sindacato ed alla sua attività. La tendenza a valorizzare le dinamiche sociali spontanee ha portato ad elaborare una teoria (Giugni) rivolta a mettere in luce come l’insieme dei contratti collettivi e delle relazioni sindacali dia luogo ad un <<ordinamento>> a sé stante, l’ordinamento intersindacale. Pur nel successo di tale teoria, comunque, una soluzione di questo tipo non è mai stata ritenuta sufficiente in un ambiente giuridico come quello italiano, in cui, al contrario, è sempre stato sentito il bisogno di raccordare i prodotti dell’ordinamento intersindacale con l’ordinamento giuridico statuale. Ciò, se non altro, al fine di rendere possibile che un lavoratore potesse lamentarsi, davanti ad un giudice della Repubblica, dell’inosservanza del contratto collettivo da parte del proprio datore di lavoro.

La branca del diritto che ha offerto le categorie necessarie all’agognato inquadramento giuridico del sindacato e del contratto collettivo è stato, chiaramente, il diritto privato. Esso, infatti, essendo un diritto debolmente regolativo e per nulla lesivo della libertà sindacale, consente di attribuire piena rilevanza giuridica all’attività degli individui e dei gruppi di interessi. In base a tale approccio, quindi, l’autonomia collettiva è stata concepita come una particolare manifestazione di autonomia privata.

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