L’inserimento del prestatore nell’ambiente di lavoro

La materia delle c.d. condizioni di lavoro, nelle quale sono comprese le mansioni del lavoratore e l’organizzazione e l’ambiente di lavoro, attiene all’attuazione dell’obbligazione lavorativa e quindi rientra nell’esercizio del potere direttivo dell’imprenditore. La contrattazione collettiva e la legge, però, limitano la discrezionalità del potere imprenditoriale imponendo norme idonee a fissare concretamente le condizioni ambientali (igiene e sicurezza) e a determinare la durata della prestazione lavorativa (orario di lavoro).

Fattori naturali ed artificiali,quali i ritmi ed i tempi di lavoro, locali dell’impresa, macchinari adibiti alla produzione e materie di lavorazione costituiscono l’ambiente di lavoro, all’interno del quale si pone il problema della tutela della persona fisica e della personalità morale dello stesso.

Al riguardo dell’integrità fisica, si è introdotto e sviluppato un organico sistema di assicurazioni sociali contro gli infortuni e le malattie professionali, in virtù del quale i lavoratori addetti alle lavorazioni pericolose hanno diritto di essere assicurati contro i relativi rischi, indipendentemente dalla colpa dell’imprenditore o dello stesso lavoratore e cioè anche per il caso fortuito.

Il principio del rischio professionale si sostituisce a quello precedente della colpa dell’imprenditore: tenuto a risarcire il lavoratore è l’ente assicuratore.

 

La disciplina contenuta nell’art. 2087 c.c. Il danno biologico. Il mobbing. L’art. 9 dello Statuto dei lavoratori

L’art. 2087 stabilisce che “l’imprenditore è tenuto ad adottare le misure che sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. L’imprenditore è vincolato a svolgere un’attività generale di prevenzione dei rischi derivanti dall’ambiente di lavoro. Si tratta di un facere che limita il potere direttivo.Tale norma, però, benché ispirata ad una funzione prevenzionale, è stata per lo più utilizzata con funzione risarcitoria di eventi dannosi già prodotti.

Il legislatore ha tentato di ovviare ai suoi limiti con l’art. 9, St. lav., che ne ha modificato la stessa ratio. L’art. 9, St. lav., infatti, da un lato, impegna nella politica di prevenzione non il solo datore, ma anche i lavoratori, che vi partecipano mediante le loro rappresentanze; dall’altro, prevede, sempre da parte delle rappresentanze dei lavoratori, non solo il controllo sull’applicazione delle norme esistenti, ma anche la promozione di nuove misure protettive, idonee a modificare le condizioni dell’ambiente di lavoro. Le previsioni dell’art. 9, St. lav., sono state poi razionalizzate dai contratti collettivi che hanno previsto sistemi di accertamento, analisi e controllo delle condizioni ambientali, nonché l’istituzione di registri dei dati ambientali e biostatistici e dei c.d. libretti personali sanitari e di rischio per i lavoratori.

La salute è riconosciuta dall’art. 32 della Costituzione come bene d’interesse pubblico e assoluto.

L’art. 2087 è stato invocato, di solito, ex post, in funzione risarcitoria del danno biologico, menomazione dell’integrità psico-fisica della persona, la cui tutela va oltre la mera capacità lavorativa, riferendosi alle relazioni intellettuali e sociali.

L’intervento del legislatore ha comportato l’estensione dell’esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per i casi di danno biologico derivanti da infortunio o da malattia professionale, casi coperti dall’assicurazione obbligatoria.

Anche il danno esistenziale, inteso come danno alla vita di relazione del lavoratore prodotto dal comportamento illegittimo del datore, è risarcibile.

Ultimamente è stato riconosciuto come danno il c.d. mobbing, che si manifesta quando un soggetto tende a mettere un’altra persona in stato di inferiorità tale da lederne la dignità (emarginazione, isolamento dal gruppo, sbeffeggiamento, progressivo svuotamento dei compiti svolti, etc).

 

I divieti di discriminazione

Sempre in relazione alla tutela della persona del lavoratore la legge tende a salvaguardare la dignità e la libertà morale del lavoratore.

I primi divieti discriminatori introdotti nel nostro ordinamento sono quelli relativi alla discriminazione politica, religiosa e sindacale e risalgono alla disciplina del licenziamento. Poi sono stati introdotti quelli relativi a fattori razziali, di lingua e di sesso. Dal 1998 è salvaguardato anche lo straniero (razza, gruppo etnico, religione, cittadinanza) ed una Direttiva europea del 2000 vieta categoricamente discriminazioni fondate sulla razza o sull’origine etnica. A questa si affianca un’altra Direttiva che vieta le discriminazioni fondate sulla religione, sulle convinzioni personali, sugli handicaps, sull’età e sulle tendenze sessuali.

La trasposizione di tale Direttiva è avvenuta col D. Leg. 216 del 2003, che, però ammette una serie di deroghe al principio di non discriminazione. Innanzitutto non costituiscono discriminazione le differenze fondate sulla religione, convinzioni personali, handicap, età ed orientamento sessuale quando rappresentino requisiti essenziali per lo svolgimento di specifiche attività lavorative e particolari funzioni d’interesse pubblico (forze armate e servizi di polizia, penitenziari e di soccorso). Allo stesso modo è ritenuto legittimo escludere da attività di cura, assistenza, istruzione ed educazione di minorenni persone condannate definitivamente per reati contro la libertà sessuale dei minori e la pornografia minorile.

 

Richiedi gli appunti aggiornati
* Campi obbligatori

Lascia un commento