Con l’allargamento del suffragio elettorale e con la democratizzazione del processo politico, i partiti hanno assunto il ruolo di canali permanenti di partecipazione politica e di fattori di organizzazione del pluralismo sociale.

Tre sono le funzioni fondamentali che il partito inizia a svolgere:

– Funzione espressiva ed integrativa di svariate istanze della società

– Funzione selettiva del personale politico

– Funzione partecipativa alla formazione delle decisioni collettivamente vincolanti.

Sin dal XX sec la dottrina politica costituzionalistica ha affermato la coessenzialità dei partiti al modo di essere della struttura fondamentale dello Stato=rapporto stato-società letto non più in chiave di separatezza, bensì visto come relazione positiva e con i partiti in posizione intermedia tra i due poli.

L’incidenza dei partiti sul processo politico avrebbe contribuito ad una trasformazione profonda della stessa statualità e il partito viene concepito come problematicamente sospeso tra società e stato, immerso in quel politeismo di valori di cui parla Weber.

Herman Heller → la Costituzione è la forma di organizzazione della sovranità del popolo, che deve perciò esprimersi in una unità di decisione e di azione, sistema di unificazione della volontà. In questa cornice i partiti sono le strutture fondamentali dell’ “organizzazione del dominio” del popolo nelle democrazie. Elementi di unificazione di una rappresentatività legittimata dal basso.

Redbruch e Thoma → il pluralismo democratico è corollario inscindibile tra libertà ed uguaglianza. Il popolo viene a delinearsi come “una cacofonia” di voci e opinioni differenti incapace di esprimere una volontà unitaria, e il partito quindi viene a collocarsi in questa tensione dialettica tra il pluralismo della volontà popolare e la intrinseca attitudine alla unilateralità dei processi di decisione statale.

Ma oggi si è venuto ad incrinare il monopolio dei partiti nel processo politico, visto sempre meno come coagulo di settori di opinione pubblica, incapace di assolvere ad una funzione di stabilizzazione del consenso né quella di riduzione della complessità sociale.

Posizioni contrastanti:

Laski → è irriducibile l’antitesi tra pluralismo e concezioni ontologiche della sovranità. Da qui dunque emerge l’idea che l’intreccio tra democrazia e partiti trovi sbocco solo in un monolitico schema identitario.

Ernst Frankel → ha suggerito invece di distinguere i regimi democratici in plebiscitari e rappresentativi. Il primo schema considera gli interessi minoritari come fattori di disturbo, per cui essi devono essere ignorati o addirittura soppressi. Il secondo, invece, li considera come elementi imprescindibili di una società pluralistica. Frankel ritiene opportuno creare una sorta di commistione tra elementi identitari ed elementi rappresentativi

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