Il principio di separazione dei poteri postula l’esclusiva spettanza del potere legislativo al parlamento. Ed è in quella prospettiva che “la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due camere”. Ma il principio stesso subisce una serie di eccezioni, costituzionalmente previste: la prima delle quali riguarda la delega della funzione legislativa a favore del potere esecutivo.

Nella realtà costituzionale si dimostrano dunque l’estensione e l’importanza dei processi di devoluzione di consistenti poteri normativi delle assemblee parlamentari all’esecutivo. Questo stato di cose ha influito sensibilmente sui lavori dell’assemblea costituente, specie per quanto concerne il problema della delegabilità della legislazione al governo, che è stato risolto nel senso affermativo tanto in commissione quanto in aula. S’è infatti riconosciuta l’inevitabilità del fenomeno; e di conseguenza si è preferito regolamentarlo e circoscriverlo, per non depotenziare troppo il ruolo delle Camere, anziché opporre uno sterile rifiuto.

L’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti. Il potere legislativo delegabile al governo non corrisponde, cioè, a quello del quale le camere sono titolari, ma si rivela diverso per natura e minore per portata, in quanto assai più gravemente condizionato nel proprio esercizio.

Già in questo senso bisogna dunque concludere che la delega legislativa non comporta un trasferimento né della titolarità né dell’esercizio dell’ordinaria potestà legislativa; ma si risolve piuttosto nella creazione di un potere legislativo nuovo, che il Parlamento affida al Governo senza per questo vedersi privato della correlativa competenza. Ma si tratta anche d’una legislazione di rango minore, in quanto essa subisce almeno cinque tipi di limitazioni peculiari.

Anzitutto, una fondamentale ragione distintiva consiste in ciò che la legislazione delle camere è giuridicamente libera, mentre la legislazione delegata è sottoposta agli ulteriori vincoli dettati dalla legge di delegazione: sotto questo aspetto, si è rilevato in dottrina che la funzione legislativa delegata non è dunque libera ma discrezionale, appunto perché non dispone dei suoi fini ultimi, che debbono invece venire prefissati dalle camere.

Secondariamente la potestà legislativa delle camere è permanente, quella del governo deve dirsi invece temporanea; quella delegata al governo è una competenza specializzata, ossia circoscritta ai solo settori espressamente indicati da ciascuna legge di delegazione.

Per passare ad un’analisi più dettagliata di tali limitazioni, bisogna chiarire quali siano ed in che consistano i possibili oggetti della delega. Nell’attuale ordinamento, infatti, vi sono materie o tipi di discipline che la Costituzione riserva in modo assoluto alle leggi formali; sicché il ricorso alla delega sarebbe in queste ipotesi illegittimo. La delega legislativa è invece ammissibile ovunque il delegante disponga della competenza a legiferare.

Il limite degli oggetti definiti non impedisce, anzi, che il Parlamento deleghi al governo la disciplina di intere vastissime materie, purché non si arrivi all’estremo di una delega dei “pieni poteri”. Non a caso, nella prassi è frequente il ricorso alle delegazioni plurime, contestualmente relative ad una pluralità di oggetti, ciascuno dei quali può essere disciplinato dal governo per mezzo di un distinto decreto delegato.

Per non confondere la delega legislativa con un incondizionato trasferimento di competenza, la costituzione ha stabilito che l’emanazione del decreto o dei decreti legislativi del governo debba avvenire entro un tempo limitato dalla stessa legge delegante. Accade, per meglio dire, che il Parlamento imponga al governo di attuare una delega entro un dato periodo di tempo, la decorrenza del quale non è tuttavia prestabilita fin dal momento delle delibere parlamentari, in quanto il periodo stesso è destinato ad iniziare nel giorno dell’entrata in vigore della legge delegante.

A volte però il governo ha abusato di questo tipo di previsioni, ritardando indebitamente la pubblicazione, allo scopo di poter utilizzare un periodo più lungo di quello che la legge assegnava. Ma il tentativo è stato censurato da parte della corte costituzionale, che in simili casi non ha esitato ad ipotizzare l’illegittimità degli stessi decreti delegati.

Fra i limiti prescritti dall’art. 76 Cost., quello sostanzialmente nuovo è rappresentato dai principi e criteri direttivi che la legge delegante deve prefiggere. Limitazioni inerenti al tempo ed all’oggetto della delega figuravano comunemente, infatti, già nelle delegazioni legislative del periodo statutario e fascista; ma ciò non implicava ancora una serie di vincoli di tipo finalistico e contenutistico. Anzitutto non ha avuto seguito la tesi che cercava di distinguere fra principi e criteri, sostenendo che nel primo senso il parlamento dovrebbe fissare le norme fondamentali della disciplina degli oggetti delegati, lasciando al governo la sola normativa di dettaglio; mentre nel secondo senso si tratterebbe di definire gli scopi da raggiungere, i mezzi da utilizzare in conseguenza, gli standards da osservare nel completamento del quadro.

Quelli che la Costituzione esige, a pena di invalidità della stessa legge delegante, non sono infatti i limiti massimi ma i limiti minimi della delegazione; sicché nulla esclude che il Parlamento introduca limitazioni ulteriori, consistenti in direttive particolarmente dettagliate o in norme materiali.

L’art. 76 non precisa quante volte possa legittimamente esercitarsi il potere legislativo delegato, prima che scada il termine della delegazione. Ciò spiega che in proposito si siano formate due contrapposte correnti dottrinali: l’una che afferma la necessaria istantaneità del potere medesimo, l’altra che invece contesta questo tipo di ricostruzione, assumendo che nel dubbio la delega legislativa dovrebbe essere intesa come un’attribuzione temporanea ma continuativa di poteri, suscettibile dunque di un’utilizzazione ripetuta.

Fermo rimane comunque, che nella maggioranza dei casi nessuno ha mai dubitato dell’istantaneità dei poteri delegati al governo. Questa circostanza induce a concludere che l’istantaneità rappresenti un requisito normale, anche se non completamente indispensabile. Di più: nella legislazione degli ultimi tempi il requisito in questione non ha subito altro che limitate eccezioni, consistenti nel conferire al governo il potere di correggere gli originari decreti legislativi, mentre non si è più prevista l’integrale riscrittura dei decreti stessi, sia pure effettuata entro il termine ultimo della delegazione.

Ancor più problematico è il discorso sulla doverosità dell’esercizio dei poteri delegati dal Parlamento al Governo. La dottrina costituzionalistica è tuttora incline a ritenere che le delegazioni siano di norma imperative e non semplicemente autorizzative della conseguente attività del delegato: poiché, diversamente, non avrebbe un senso compiuto il fatto di provvedere alla delega e di prefissare anche un termine per l’attuazione di essa.

 

 

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