Per quanto concerne l’esigenza di una tutela della concorrenza come situazioni dei mercato, altri ordinamenti hanno una disciplina di lunga scuola. In Italia con il d. lgs. 287 (più la cosiddetta legge di cadenza annuale volta a rimuovere gli ostacoli normativi o amministrativi all’apertura dei mercati) erano state introdotte nel nostro ordinamento pene antimonopolistiche di settore riferendosi a quelle attività ove risulta più importante assicurare il pluralismo degli operatori. Questa legge facendo riferimento alle ipotesi di intese restrittive della concorrenza le dichiara nulle quando abbiano per effetto di impedire, restringere, falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza nel mercato nazionale o in una sua parte rilevante. Già l’art 85 TCE vieta intese “che possano pregiudicare il commercio tra stati membri e che possano restringere la concorrenza nel mercato comune”. Sempre questa legge disponeva che Autorità garante della concorrenza e del mercato, quando ravvisava una fattispecie a livello comunitario, doveva informare la commissione CE, ma ora a seguito del Reg. 1/2003 le autorità e giurisdizioni nazionali possono applicare art 81 e 82 TCE alle intese restrittive e agli abusi di posizione dominante di rilevanza comunitaria. Se peròla Commissione inizia una procedura l’autorità nazionale sospende la sua istruttoria salvo per aspetti di esclusiva rilevanza nazionale. La disciplina nazionale sempre per questa legge assume in realtà significato alla luce della prospettiva comunitaria. La disciplina antitrust va poi interpretata dalla prassi di organi che in via amministrativa o giudiziaria la devono attuare: quindi Commissione e Corte giustizia. In Italia quindi Autorità (già detto). Sempre il d. lgs. poi prevede che nel caso di imprese di settori sottoposte alla vigilanza di più autorità “ciascuna di esse può adottare il provvedimento di propria competenza”.

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