Le varie ipotesi

Ex 118 Cod. cons. (Esclusione della responsabilità) La responsabilità è esclusa:

  1. se il produttore non ha messo il prodotto in circolazione;
  2. se il difetto che ha cagionato il danno non esisteva quando il produttore ha messo il prodotto in circolazione;
  3. se il produttore non ha fabbricato il prodotto per la vendita o per qualsiasi altra forma di distribuzione a titolo oneroso, nè lo ha fabbricato o distribuito nell’esercizio della sua attività professionale;
  4. se il difetto è dovuto alla conformità del prodotto a una norma giuridica imperativa o a un provvedimento vincolante;
  5. se lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche, al momento in cui il produttore ha messo in circolazione il prodotto, non permetteva ancora di considerare il prodotto come difettoso;
  6. nel caso del produttore o fornitore di una parte componente o di una materia prima, se il difetto è interamente dovuto alla concezione del prodotto in cui è stata incorporata la parte o materia prima o alla conformità di questa alle istruzioni date dal produttore che la ha utilizzata.

Ne emerge da un lato uno spazio di responsabilità individuato come funzione della decisione di rischio assunta dal produttore (nelle ipotesi di cui alle lett. a), b), c)); dall’altro un vero e proprio esonero da responsabilità (lett. d) ed e)).

Il primo gruppo di ipotesi si limita ad esplicitare una responsabilità oggettiva che non intende essere responsabilità assoluta.

Il secondo gruppo di ipotesi prevede delle vere e proprie scriminanti, in quanto sollevano da quella che dovrebbe essere una responsabilità ove si facesse riferimento alla mera decisione di rischio.

Circa esse scriminanti, occorre distinguere.

Relativamente al produttore che si sia limitato a dare osservanza ad una regola comunque vincolante, l’ipotesi formulata dalla legge si verificherà raramente, in quanto in genere l’intervento dell’autorità (legislativa od amministrativa) nella disciplina del processo di produzione non si realizza mediante norme imperative assolute, ma mediante norme imperative di salvaguardia: l’autorità cioè si limita ad indicare standards da essa ritenuti di sicurezza, i quali vincolano il produttore solo verso il basso.

Si tratta di soglie minime, che il produttore potrà superare nel senso di una maggiore sicurezza.

Ciò significa che l’osservanza di standard di salvaguardia prescritti dalla legge o dall’autorità amministrativa non potrà mai convertirsi di per sé in causa di esonero da responsabilità (Cass. 8069/1993), perché in tal caso norme dettate per una protezione basilare dei consumatori e dei fruitori del prodotto si convertirebbero in facili espedienti di irresponsabilità.

{Da questo punto di vista non sussiste difformità tra il d.p.r. 224/1988 ed il d. lgs. 313/1991, che dà attuazione alla direttiva 378/1988 in materia di sicurezza dei giocattoli}.

Il cosiddetto rischio da sviluppo

Il rischio da sviluppo corrisponde all’ipotesi del 118, lett. e) Cod. cons., di esonero del produttore da responsabilità quando lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche, al momento in cui il produttore ha messo in circolazione il prodotto, non permetteva ancora di considerare il prodotto come difettoso.

Appare incoerente qualificare il prodotto come difettoso o no a seconda del momento.

Tanto più che se si vuole parlare di difetto, esso c’è originariamente e solo dopo si è rivelato tale.

Ce ne sarebbe quanto basta per un esito di responsabilità, ma il legislatore comunitario e quello nazionale hanno deciso per l’esonero da essa, e l’interprete non può che prenderne atto.

{La Corte europea di giustizia nel 1997 ha reso ulteriormente favorevole al produttore l’esclusione di responsabilità, precisando la necessità che le conoscenze scientifiche e tecniche alle quali fa riferimento la direttiva ai fini della responsabilità “siano state accessibili al momento della messa in commercio del prodotto considerato”}.

Viene detto che i danni sarebbero attuazione di rischi non calcolabili, e perciò inconciliabili con la responsabilità.

Ma il problema della non calcolabilità esiste negli stessi termini per i difetti di costruzione, i quali, a differenza dai difetti di fabbricazione caratterizzati da una ricorrenza statisticamente accertabile, vivono della stessa incertezza circa il se ed il quanto del danno fino a quando esso non si sia verificato.

L’argomento della non calcolabilità dei rischi connessi con lo stato della scienza e della tecnica del resto finisce col significare che quanto meno il rischio è calcolabile.

Invece, un rischio che sia veramente incalcolabile impone l’alternativa secca tra responsabilità ed astensione dall’attività imponderabile.

Invero, ammesso ipoteticamente un rischio effettivamente non calcolabile, mancherà il presupposto di una responsabilità per rischio, ma non in assoluto di ogni altro possibile modello di responsabilità.

Si può pensare ad una responsabilità per (apparente) pura causalità, non ignota al nostro ordinamento, che la prevede almeno in materia di danni derivanti dall’esercizio di attività nucleari (l. 1860/1962), ovvero ad una responsabilità che individua tout court nel produttore il soggetto più idoneo a sopportare il costo del danno.

Perché in primo luogo, calcolabile o no, il rischio viene introdotto dalla scelta che lo crea.

In secondo luogo, non si può dire che il consumatore, decidendo di utilizzare il prodotto, intenda correre lui il rischio del danno.

Lo si può ipotizzare in casi assolutamente marginali, di cui esempio classico è quello dell’uso di un medicinale non sufficientemente sperimentato che costituisca l’unica possibilità di salvezza per chi lo assume.

Proprio su questo terreno, però, nell’ordinamento germanico la Arzneimittelgesetz, introdotta a disciplinare il consumo di medicinali prima della direttiva comunitaria, si applica anche ai danni da sviluppo.
{Anche altri ordinamenti, in applicazione della facoltà loro concessa dalla direttiva CEE 374/1985 al 15.1 lett. b), hanno ricompreso i danni da sviluppo nell’àmbito della responsabilità.

Anche nel diritto giapponese, che ha adottato nel 1995 una legge sul danno da prodotti, la quale esclude la responsabilità nel caso di inconoscibilità del difetto allo stato della scienza e della tecnica al momento della messa in circolazione del prodotto, la giurisprudenza l’ha affermata con riguardo ai prodotti medicinali}.

E, sempre con riguardo ai medicinali, in area francese Jerome Huet ha fatto notare il paradosso che si crea ove si sottragga alla responsabilità oggettiva proprio la specie di prodotti che per la loro particolare e congenita pericolosità appaiono maggiormente necessitare di una responsabilità sganciata dalla colpa.

Sul piano topico, tale argomento trova il suo contrario nell’idea che “la produzione farmaceutica va incoraggiata” e che è socialmente utile tener basso il prezzo dei medicinali {Ugo Carnevali; questo atteggiamento sembra ora prevalere negli U.S.A.}.

Ma l’estremo argomento della migliore distribuzione del costo dei danni quando questo sia allocato sul produttore depone in favore della responsabilità del produttore.

Né sul punto vale obiettare che allora la regola di responsabilità finisce con lo svolgere una finalità assicurativa: si tratterebbe infatti di dimostrare che una forma più economica esista, e questa non può essere costituita né dall’assicurazione del singolo consumatore (per quali danni, di quali prodotti?), né da forme di previdenza obbligatorie (in questo senso si esprime invece Pietro Trimarchi).

Per le forme di previdenza obbligatorie pare che non sia più il tempo.

Per quanto riguarda l’assicurazione del singolo consumatore, è meno costosa un’assicurazione del produttore che, in quanto specifica al singolo prodotto o ad una serie di prodotti facenti capo all’impresa ed in quanto cumulativamente stipulata dal produttore sarà certo meno costosa di una generica assicurazione contro i danni stipulata dal singolo consumatore.

La soluzione più congrua sarebbe stata comunque un’altra: il 16.1 dir. CEE 374/1985 consente ad ogni Stato membro di stabilire un limite massimo complessivo al danno globale risarcibile per danni da morte e da lesioni personali, ed indica la somma non inferiore a 70 milioni di ECU (ora si tratta della corrispondente somma in euro); coniugando questa disposizione con quella del 15.1 lett. b) dir. CEE 374/1985, secondo la quale il legislatore nazionale può rendere responsabile il produttore anche per i danni da sviluppo, ne sarebbe derivata una responsabilità del produttore per questi ultimi, limitata nel senso consentito dalla direttiva.

{Anche Pablo Salvador Coderch e Josep Solé Feliu arrivano a questa conclusione}.

 

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