La “Valutazione equitativa del danno” è prevista in generale dal 1226, al quale fa rinvio il 2056 (Valutazione dei danni), in ogni caso in cui il danno non possa essere provato nel suo preciso ammontare.
Il 18.6 l. 349/1986 [Il giudice, ove non sia possibile una precisa quantificazione del danno, ne determina l’ammontare in via equitativa, tenendo comunque conto della gravità della colpa individuale, del costo necessario per il ripristino e del profitto conseguito dal trasgressore in conseguenza del suo comportamento lesivo dei beni ambientali] utilizza lo stesso modello della norma del Codice, onde se ne potrebbe inferire che il legislatore reputi in via generale possibile la “quantificazione del danno”.
Se tale possibilità fosse realistica, però, il modo di disporre della norma speciale sarebbe una inutile ripetizione del 1226.
Ciò che può aver indotto allora il legislatore a simile apparente ripetizione è proprio il dubbio che “di norma” il danno all’ambiente sarà difficilmente quantificabile.
Tale danno si riferisce ad una relazione tra entità materiali di per sé insuscettibile di valutazione economica: il danno all’ambiente non è quantificabile onde la valutazione equitativa da eventuale diventa necessaria.
Ed un danno che sia necessariamente devoluto alla valutazione equitativa del giudice, in quanto non determinabile in sé, è inevitabilmente non patrimoniale.
Quella poi che abbiamo detta allure sanzionatoria emerge dal medesimo 18.6 l. 349/1986.
Ed infatti, mentre il costo necessario per il ripristino tende ad accostare il più possibile il risarcimento al valore effettivamente distrutto, senza tuttavia attingerlo mai completamente, essendo in ipotesi tale costo un parametro di concretizzazione di un potere equitativo del giudice che presuppone l’impossibilità di ridurre il danno nei termini di una valutazione economica propria, il riferimento alla gravità della colpa ed al profitto conseguito dal trasgressore ci porta su traiettorie tipiche del diritto penale.
A mente del 133 c.p. (Gravità del reato: valutazione agli effetti della pena) il giudice, nella commisurazione della pena, deve tener conto della gravità del reato, desunta tra l’altro dalla intensità del dolo o dal grado della colpa, ed il 240 c.p. (Confisca) fa riferimento al profitto (oltre che al prodotto ed al prezzo) nell’attribuire al giudice il potere di confisca di quanto sia il frutto del reato.
Ora se il risarcimento ex 18 l. 349/1986 deve correre lungo i detti parametri, non trova realizzazione una funzione riparatoria, ma una funzione afflittiva, la quale denota allora un’ulteriore conferma di quella natura sanzionatoria che caratterizza il risarcimento del danno non patrimoniale.
Diversamente che dal 18 l. 349/1986, nel 2043 (Risarcimento per fatto illecito) non pare esservi posto per diversitĂ di effetti tra colpa e dolo.