È affermazione comune che le obbligazioni pecuniarie si sottraggono ai principi che regolano l’inadempimento delle obbligazioni. Il distacco di tali principi riguarda la incondizionata responsabilità del debitore di denaro per il mancato adempimento nonché, nell’ipotesi di ritardo, una particolare forfettizzazione legale della misura del danno attraverso gli interessi moratori e ciò a prescindere dalla prova di esso (1224). Per ciò che riguarda la responsabilità del debitore per il mancato pagamento, una dottrina risalente tendeva a spiegare questa responsabilità con i principi delle obbligazioni generiche, nell’ambito delle quali trova vigore il principio “genus numquam perit”.

Sotto la vigenza del codice attuale, questa incondizionata responsabilità è presupposta nella regola che dichiara il mutuatario di cose diverse dal denaro, la cui restituzione sia divenuta impossibile o notevolmente difficile per causa ad esso non imputabile, tenuto a pagarne il valore al mutuante (1818). A maggior ragione si osserva che tale regola varrà per il mutuatario di somme di denaro. L’affermazione dunque della incondizionata responsabilità del debitore di denaro per il mancato pagamento del debito si converte facilmente in quella dell’irrilevanza, dal punto di vista giuridico, della impotenza finanziaria del debitore.

Un tale principio di irrilevanza è indirettamente presupposto nella regola, pertinente alla normativa sulla responsabilità, alla stregua della quale la responsabilità patrimoniale del debitore è illimitata, sia dal punto di vista dell’oggetto come della sua permanenza nel tempo. Tanto vale dire che la responsabilità del debitore acquista carattere di permanenza sino al momento in cui non saranno soddisfatte le ragioni creditorie.

Sul versante dei danni nelle obbligazioni pecuniarie l’interprete incontra la disposizione contenuta nell’art. 1224. L’origine della disposizione si trova in un passo del Pothier che, in risposta al divieto canonistico delle usure, aveva giustificato il pagamento di interessi moratori facendo ricorso al concetto di presunzione di danno provocato dal ritardo nel pagamento di somme di denaro. L’attenzione degli interpreti è richiamata dal fatto che l’articolo corrispondente del nostro codice (1231 c.c. abrogato), con il limitare la liquidazione dei danni ai soli interessi di mora, veniva a sancire l’irrilevanza del deprezzamento della moneta anche sul terreno della liquidazione dei danni oltre che su quello de l pagamento del debito. Se non si ha presente questa evoluzione, non si può intendere significato e portata della nuova formulazione dell’art. 1224. Detto articolo ha l’occhio rivolto al soggetto su cui far gravare le conseguenze del deprezzamento della moneta. La disposizione viene dunque ad iscriversi nella storia delle deroghe al principio nominalistico.

L’allagamento della forma di tutela dell’obbligazione pecuniaria ha determinato non poche complicazioni, specie di ordine sistematico. La formulazione dell’art. 1224, la sua collocazione sono il segno tangibile del tentativo di recuperare le obbligazioni pecuniarie alle forme storiche di tutela delle obbligazioni comuni. La contraddizione principale sarebbe stata nella coesistenza, dentro la stessa forma di tutela, dell’obbligazione di interessi con tutto il corredo di relativi principi, e delle regole generali sulla responsabilità contrattuale per danni. Persuasiva appare la posizione di quanti si oppongono a questa estensione, facendo presente che a risultato non dissimile si può pervenirsi, eliminando inutili forzature interpretative, attraverso i comuni principi sulla responsabilità extracontrattuale per danni e ritenendo ad es. che gli interessi sulla somma non goduta possano rientrare nella comune accezione di mancato guadagno valutato dal giudice con equo apprezzamento ai sensi dell’art. 2056, e sempre che l’adeguamento monetario della somma liquidata dal giudice non sia tale da fornire già adeguata soddisfazione  al creditore danneggiato.

Il recupero delle obbligazioni pecuniarie ai comuni principi sulla responsabilità per danni ha trovato il suo punto di appoggio nell’art. 1224, che introduce la possibilità del risarcimento del maggior danno, ove di questo il creditore dia prova secondo i comuni principi. La possibilità d risarcire il maggior danno è esclusa quando è stata convenuta la misura degli interessi moratori. La dottrina non ha dimostrato incertezze nel ritenere compatibile con la forma del debito di denaro una tutela sub specie del danno. Tale tutela viene ad aggiungersi a quella fornita dall’obbligazione di interessi. Le difficoltà potranno riguardare la coesistenza tra due forme di tutela così diverse tra loro. A qualche giudice è parso indiscutibile che della svalutazione si debba tenere conto, ex officio, con riguardo al maggior danno del creditore subito (1224).

Alla dimostrazione della compatibilità tra questa enunciazione e il rispetto del principio nominalistico si è adoperata buona parte della nostra dottrina. L’argomento cui essa di preferenza ha fatto ricorso è quello fondato sull’autonomia della mora, fattispecie che si inserisce tra l’obbligazione pecuniaria e il danno da svalutazione. Consapevole che un tale argomento poteva prestare facile bersaglio alle critiche, la stessa dottrina è corsa ai ripari, trasferendo il discorso sul terreno della prova e mirando ad affermare che la svalutazione non è fatto dannoso ma potenziale causa di danno, da dimostrarsi, in concreto, da parte del creditore attraverso la prova di non essere riuscito ad impedire, attraverso un pronto investimento, gli effetti dannosi della svalutazione o di averli direttamente patiti in conseguenza di alienazioni, resesi necessarie, di beni.

È conosciuto altresì quell’indirizzo giurisprudenziale risalente agli anni ’50 e dominante negli anni successivi, e passato alla storia per l’elencazione di precise condizioni fatte ai creditori:

a) la prova di avere risentito un particolare pregiudizio dal fatto di non aver potuto disporre nel momento opportuno della somma;

b) e la prova altresì che, trattandosi di inadempimento non dipendente da dolo, il danno derivato più il fenomeno aggravante della svalutazione della moneta poteva essere preveduto dal debitore al tempo del contratto.

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