Il possesso trova collocazione nella teoria dei diritti reali in quanto rappresenta l’esercizio di un potere sulla cosa che un soggetto intende tenere a propria esclusiva disposizione. L’art. 1140 c.c. definisce il possesso come il potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale. Nel possesso ha rilievo la sola relazione che passa tra la persona e la cosa; restano indifferenti i titoli dominicali.

Per i diritti minori di contenuto negativo (es. servitù non apparente) e per i diritti nudi (nudo proprietario) può configurarsi un possesso solo col concorso del titolo astrattamente idoneo. Secondo il Finzi, accanto ad ogni rapporto giuridico si colloca un rapporto giuridico di minore intensità che ha per contenuto la possibilità di esercitare il primo. In altri termini al sistema dei diritti perfetti (reali, personali, familiari) si contrappone un sistema di diritti possessori che ha la stessa ampiezza e contenuto, ma minore intensità.

Insuscettibile di possesso sembrano essere l’ipoteca e il diritto di obbligazione. Il possesso può anche essere mediato (o indiretto), cioè esercitato attraverso la detenzione di altri. E’ noto che la detenzione si differenzia dal possesso in quanto presuppone il riconoscimento dell’altrui diritto e il conseguente obbligo di restituzione del bene. La posizione del detentore non è, tuttavia, priva di autonomo rilievo in quanto il possessore non può ingerirsi nel potere esercitato dallo stesso detentore sul bene e ove trasgredisca tale limite dovrà subire l’azione di reintegrazione del detentore. Quindi la speciale protezione concessa al detentore sembra essere tendenzialmente finalizzata alla tutela del suo credito. Si parla, al proposito, di detenzione qualificata e tale termine servirebbe a distinguerlo dal possesso; tuttavia è evidente che c’è un potere sulla cosa, diretto e autonomo, del detentore.

Nel codice manca una definizione della detenzione ed è ricavata dall’art. 1168 c.c in materia di legittimazione all’azione di spoglio. Il detentore è chi eserciti un potere sulla cosa in base ad un rapporto obbligatorio (comodato, locazione, affitto ecc.); però la detenzione sorge col sorgere del rapporto in questione ma rispetto a questo ha vita autonoma. La giurisprudenza infatti ritiene che il detentore in sede di spoglio ha la necessità di provare il titolo contrattuale che dà origine alla sua detenzione, ma non le vicende successive del rapporto, tanto che il concedente non può agire con le azioni possessorie ma solo con l’azione restitutoria. Sotto altro profilo, il detentore può invocare o la tutela possessoria connessa alla detenzione, o quella contrattuale connessa al contratto: in tal senso la giurisprudenza ritiene che il detentore può chiedere il ripristino della situazione di fatto anche ex art 700 c.p.c. facendo valere in via d’urgenza la posizione contrattuale.

Nel nostro ordinamento la tutela possessoria si articola sulla base di criteri graduati in ragione dei diversi poteri di fatto riconosciuti e delle diverse forme di violazione. Quindi è lecito ritenere che al detentore è riconosciuta una situazione possessoria seppur misurata all’interesse concretamente protetto e quindi limitato. Il detentore infatti non può esercitare l’azione di manutenzione e non può far valere la detenzione ai fini dell’usucapione.

Si propone la prospettiva che lo stesso bene possa essere oggetto di differenti possessi: quello del possessore e quello del detentore. La figura del possesso indiretto o mediato può servire a rappresentare un modello tecnico che descrive codesta situazione.

L’art. 1169 2 co. regola il conflitto tra possessore e detentore: al possessore non solo non compete un’azione possessoria nei confronti del detentore per ottenere la restituzione del bene, ma gli è vietato anche di sottrarre il bene alla disponibilità del detentore al quale compete, come abbiamo detto, l’azione di reintegrazione contro lo stesso possessore.

La confluenza di più possessi su di un medesimo bene a diverso titolo la si ritrova anche nell’ipotesi del concorso del possesso che spetta al nudo proprietario, che non ha alcuna relazione col bene di cui è proprietario, col possesso che spetta all’usufruttuario, che è invece nel godimento del bene. Il possesso del nudo proprietario sembra essere qualitativamente diverso da quello dell’usufruttuario in quanto serve ad evitare che il terzo, impossessandosi del bene, non solo privi l’usufruttuario del possesso, ma inizi un periodo utile all’usucapione. Quindi il possesso del nudo proprietario prescinde da quello dell’usufruttuario: questo è diretto ma non è utile ai fini dell’usucapione. Col termine compossesso si indica, invece, il concorso di più soggetti nel possesso di un bene. Nel codice manca una disciplina specifica, anche se rievoca lo schema generale della comunione. Tuttavia non ne rievoca anche il modello organizzativo in quanto manca un’apposita indicazione normativa che consenta di fare riferimento a tecniche di formazione della volontà analoghe a quelle della comunione. Possono infatti evidenziarsi alcune varianti:

1) nel compossesso non opera la disciplina dell’amministrazione della cosa comune, dettata per la comunione;

2) nel compossesso le relazioni tra i compossessori sono governate dal principio dell’unanimità e non da quello della maggioranza,

3) l’eventuale conflitto tra i compossessori può essere risolto in via giudiziaria con le sole azioni tipiche poste a tutela del possesso

Il compossesso è però presupposto dal 2° comma dell’art. 1102 c.c. che recita “il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso”. Tale norma fissa la regola per i compossessori di rispettare la destinazione della cosa comune al fine di consentirne il pari uso agli altri partecipanti.

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