Nel controllo giudiziale del principio nominalistico possono incontrarsi tecniche disparate e seguirsi vie differenziate. In sistemi ad es. propensi a dare ampio spazio all’autonomia dei privati sarà meno frequente il ricorso all’opera dei giudici. In sistemi invece che ammettono limitazioni all’autonomia dei privati il controllo dei giudici verrà sollecitato per verificare che i limiti posti dal sistema venano rispettati. Appartiene al primo modello il sistema italiano che conosce, almeno espressamente, un metodo generalizzato di limiti alle pattuizioni private tendenti a correggere gli effetti negativi del principio nominalistico. Questi limiti vengono ricavati da disposizioni di legge o di atti amministrativi che indirettamente divengono preclusive di pattuizioni private che si pongono l’opposto obbiettivo dell’adeguamento dei prezzi al mutato potere di acquisto della moneta.

A correggere le rigidità derivanti da limiti siffatti è intervenuto anche il giudice costituzionale che ha fulminato di incostituzionalità disposizioni di legge che quelle rigidità avevano introdotto, senza contemporaneamente prevedere ripari. Appartiene al secondo modello il sistema tedesco che, avendo introdotto un metodo generalizzato di controllo, in via amministrativa, sull’autonomia dei privati vede i giudici impegnati in un’opera di demarcazione dell’ambito segnato dal controllo. Una delle vie che ha dato luogo a forme di controllo diretto del principio nominalistico è quella offerta dallo stesso diritto delle obbligazioni e dei contratti.

Il caso più vistoso di questa esperienza è offerto dalla giurisprudenza tedesca dell’epoca tra le due guerre mondiali che ha proceduto a politiche rivalutative dei crediti deprezzati, facendo riferimento ai principi di buona fede e correttezza del diritto dei contratti (242 B.G.B.). Nel 1973 in Germania si è avuto un significativo intervento giurisprudenziale che, con riferimento ad obblighi di carattere pensionistico derivanti dai contratti di lavoro, ha ritenuto che il principio nominalistico non è tale da esonerare il datore di lavoro, debitore di prestazioni assistenziali, dal dovere di tenere conto degli effetti della svalutazione monetaria.

Il nominalismo, come ogni principio giuridico, è governato dal rispetto dei principi di correttezza e buona fede. Le critiche numerose che un tale indirizzo ha sollevato possono apparire ispirate ad una difesa troppo rigida del principio nominalistico. La rivalutazione giudiziale dei crediti torna ad essere un mezzo per adeguare singolo situazioni soggettive a valori sociali che l’ordinamento intende garantire.

La direzione presa dalla giurisprudenza francese è di senso opposto. Forse anche perché nell’esperienza francese hanno avuto largo spazio strumenti correttivi apprestati dalle parti. Autori lamentano che la giurisprudenza, pur avendo a disposizione gli stessi enunciati normativi di cui dispongono i giudici tedeschi, non li abbia poi valorizzati. Ma ex adverso si sottolinea come i giudici abbiano avuto timore delle conseguenze economiche della revisione generalizzata dei contratti in periodi di deprezzamento monetario.

 

La situazione italiana

Il caso italiano è distante dall’una e dall’altra esperienza ricordata. Non avendo maturato la nostra giurisprudenza analoga e forte simpatia verso principi, come quelli della correttezza e della buona fede oggettiva, pur disseminati nel nostro codice, essa si è attestata sulla linea dell’applicazione dell’istituto della sopravvivenza del rimedio della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta (1467).

In primo luogo si può dire che le condizioni per questa forma di controllo sono state poste in coincidenza con il fatto che si è affidato ai giudici il compito di risolvere la questione dell’imprevedibilità dell’evento e tendendosi a sottolineare che l’apprezzamento di detta imprevedibilità concerne non solo il prodursi del fenomeno ma anche l’entità do esso. In secondo luogo preoccupazioni sono visibili nell’indirizzo giurisprudenziale che ha limitato il rimedio dell’eccessiva onerosità alle prestazioni non ancora eseguite, lasciando invece privo di tutela il debitore che avesse già eseguito la propria prestazione e che attenda dall’altro il corrispettivo svalutato. Il motivo addotto dai giudici è che, se il valore della prestazione è aumentato, chi ha eseguito la prestazione non può richiamare il rimedio della eccessiva onerosità, perché il suo sforzo debitorio non risulta aggravato, essendo stato compiuto anteriormente all’aumento di valore.

Una recente decisione della Corte di cassazione, riguardante il problema della compatibilità tra il rimedio della sopravvivenza e quello apprestato dalla stessa autonomia delle parti ha reso ancor più trasparente quell’opera di controllo di cui si tenta di trattare le linee. I giudici sono giunti a delineare una sorta di contenuto minimo, a sfondo garantistico, del rimedio di cui all’art. 1467, inverandosi, detto contenuto, in casi limite e nella eccezionale entità dei fatti nuovi e imprevedibili sopravvenuti o in situazioni assolutamente eccezionali che renderebbero irragionevole la non applicazione del rimedio ex art. 1467.

Forme di controllo indiretto del principio nominalistico sono invece offerte da tecniche di adeguamento che utilizzano i principi sulla responsabilità per i danni. È questo il terreno più congeniale all’intervento dei giudici perché essi vengono chiamati a dare tutela a crediti insoddisfatti e\o tardivamente soddisfatti. Il diritto anglosassone ricorre al concetto di danno sostanziale, intendendosi per tale quel danno che, in presenza di fatti appropriati, ha rappresentato una vera e propria perdita economica per il creditore. I sistemi di diritto codificato appaiono invece su questo terreno più aperti a ventagli di soluzioni possibili e pongono così le condizioni propizie per l’opera dei giudici. Dovranno segnalarsi indirizzi che sono andati elaborando criteri e direttive per la individuazione del danno.

Altri indirizzi invece offrono un quadro meno articolato ma forse anche più significativo sul terreno del controllo giudiziale del principio nominalistico. Il primo indirizzo è quello della giurisprudenza tedesca che sembra muoversi nell’ottica consueta di esigere dai creditori la prova del danno concreto da essi subito per effetto del pagamento tardivo. Il secondo indirizzo è quello della nostra giurisprudenza, che sembra tendente ad identificare il maggior danno con il danno da svalutazione. Operazioni di controllo del principio nominalistico con il mezzo di regole di responsabilità sono visibili, nella nostra giurisprudenza, sin dall’epoca immediatamente successiva all’entrata in vigore del codice del 1942.

A partire da detta epoca, queste operazioni si sono in buona parte realizzate sul terreno delle regole riguardanti l’onere della prova del danno subito dal creditore e facendo ricorso alla tecnica delle presunzioni, ricavate dalle condizioni, oggettive e soggettive, dei creditori. Qualche ripensamento si ebbe tuttavia intorno agli anni ’50 ove un indirizzo più restrittivo sembrò trovare la propria giustificazione politica nell’esigenza di non penalizzare coloro che erano soliti risparmiare e che, da buoni cittadini, sottoscrivendo titoli di stato, avevano concesso ad esso fiducia.

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