Altra fonte del diritto canonico è il diritto umano o ecclesiastico, cioè il diritto posto dai soggetti competenti nella Chiesa. In quanto posto dall’autorità umana è storicamente contingente e mutevole; è sempre perfettibile ma risulta vincolato al rispetto assoluto del diritto divino naturale e positivo, infatti nel caso in cui lo contraddice sarebbe una disposizione illegittima, da far venir meno. Solo alle disposizioni di diritto umano si applicano gli istituti che rendono elastico il diritto canonico, cioè la grazia, la dispensa, la tolleranza, l’equità canonica. Se il diritto umano di produzione umana dovesse divenire nel caso concreto impedimento al bene spirituale o addirittura occasione di peccato, l’autorità che ha posto la norma non solo può ma deve disapplicarla perché ci sarebbe la violazione da parte del diritto canonico della finalità suprema della Chiesa (salus animarum). Quindi gli istituti che danno elasticità al diritto canonico non potranno mai trovare applicazione nel diritto divino.

Il diritto umano o ecclesiastico è posto ordinariamente nelle leggi ecclesiastiche (can. 7 ss) anche con altri atti come i decreti generali legislativi (can. 29). Queste leggi si distinguono in leggi generali, universali e quindi comuni a tutti, e leggi particolari o speciali. Le prime sono poste dal supremo legislatore nella Chiesa; le seconde sono ordinariamente poste dal Vescovo diocesano, dalla Conferenza episcopale o dal Concilio particolare, infatti la loro efficacia è limitata ad un territorio o ad una specifica comunità di persone. Ma anche il supremo legislatore può emanare leggi particolari, come per disciplinare una specifica materia con delle norme speciali: ad esempio i processi di beatificazione e canonizzazione, che non sono disciplinati dalle norme generali ma da una legge pontificia particolare (can. 1403).

Il rapporto tra leggi universali e leggi particolari è regolato secondo un rigoroso principio di gerarchia: se le leggi particolari sono poste dal supremo legislatore ecclesiastico, esse prevalgono; se invece la legge particolare è posta dal legislatore inferiore, non può abrogare né derogare la legge universale che prevale. Nel can. 135 infatti si precisa che da parte del legislatore inferiore non può essere data validamente una legge contraria al diritto superiore. Per quanto riguarda le leggi gerarchicamente pariordinate vale il principio secondo cui la legge posteriore abroga la precedente o deroga alla medesima (can. 20). Le leggi canoniche normalmente sono territoriali, cioè i destinatari vengono ordinariamente individuati secondo il criterio territoriale (secondo i canoni 12 – 13 le norme universali sono rivolte a tutti, le norme particolari sono rivolte in un determinato territorio), tuttavia esistono leggi personali i cui destinatari sono individuati con il criterio personale.

Le leggi canoniche devono essere promulgate (rese pubbliche) ed entrano in vigore dopo un periodo di tempo detto vacatio legis; le leggi universali, cioè poste dal Pontefice, sono pubblicate sul bollettino ufficiale denominato Acta Apostolicae Sedis e dopo un periodo di vacatio legis di tre mesi entrano in vigore. La consuetudine può avere forza di legge ma è necessario che la condotta in cui si attualizza sia stata osservata da una comunità capace almeno di ricevere una legge (can. 25), che sia ragionevole e non in contrasto con il diritto divino (can. 24), che non sia stata espressamente approvata dal legislatore (can. 23) e che il comportamento, ritenuto giusto e dovuto, sia osservato per tempo stabilito (can. 26). Inoltre la consuetudine ha forza di legge quando è “praeter legem”, cioè quando disciplina una materia non normata dal legislatore, infatti la consuetudine “contra legem” è considerata illegittima mentre la consuetudine “secundum legem” è considerata come il migliore interprete della legge (can. 27).

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