Il modello monistico, di origine anglosassone, trova ragione nell’argomentazione che l’amministrazione non è che uno tra i soggetti che compongono l’ordinamento, per cui non è necessario che la tutela giurisdizionale sia differenziata da quella riservata ad altri soggetti. Al contrario, invece, nei paesi a modello dualistico, come quello italiano, che prevedono una ripartizione tra due giudici (ordinario ed amministrativo) differenti delle controversie tra il cittadino e la pubblica amministrazione, il potere pubblico è posto su un piano differenziato, a maggior ragione se esercitato attraverso strumenti autoritativi. Rispetto quindi agli altri soggetti dell’ordinamento, è attribuita la tutela giurisdizionale ad un soggetto ad hoc. Il modello dualistico in Italia è stato costituzionalizzato con l’art. 103 cost.

 

La giurisdizione specializzata

Per le controversie con le pubbliche amministrazioni origina da due ragioni:

– di ordine storico: la concezione della pubblica amministrazione, che esercita il pubblico potere nel perseguimento dell’interesse pubblico quale autorità, ha avuto come conseguenza la situazione giuridica del cittadino, titolare, non di un diritto soggettivo, bensì di un interesse legittimo.

– di ordine tecnico: la preparazione professionale del magistrato amministrativo, che unisce funzioni giurisdizionali a funzioni consultive e ad incarichi esterni in seno alle pubbliche amministrazioni, ne ha maggiormente giustificato la specialità.

La riforma del processo amministrativo (L. 205-2000) ha avvicinato quest’ultimo a quello civile, attenuandone così la specialità. Di qui, le modifiche intervenute nel corso degli ultimi anni hanno determinato una revisione della concezione della duplicità di giurisdizioni, divise e speciali l’una rispetto all’altra. Il riparto delle giurisdizioni è divenuto progressivamente un riparto ”della giurisdizione”. Ciò a seguito sia del minore ricorso a strumenti autoritativi sia del diverso rilievo attribuito alla differenziazione degli interessi legittimi.

A ciò si è anche sommata l’estensione della giurisdizione esclusiva, che ha modificato il ruolo dell’organo giurisdizionale: da giudice dell’atto a giudice del rapporto. In pratica, il processo di lenta omologazione tra giurisdizioni e processi ha prodotto il venir meno di una netta separazione tra le due giurisdizioni.

 

Criteri di riparto della giurisdizione

Pur essendo il sistema dei blocchi di competenze, a seguito delle riforme intervenute negli ultimi anni, il criterio principale per l’articolazione della giurisdizione, rimane comunque in vigore il meccanismo previsto dall’art. 103 cost., fondato sulle differenti situazioni giuridiche soggettive (rilievo secondario). Per cui il giudice ordinario è titolare della giurisdizione relativa alle liti sui diritti soggettivi, ad eccezione di quelle riguardanti le materie espressamente devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Al contrario, il giudice amministrativo è titolare di giurisdizione esclusiva su un articolato novero di materie (ad esempio, urbanistica ed edilizia, appalti pubblici, servizi pubblici) e, per il resto, della giurisdizione generale di legittimità concernente le liti sugli interessi legittimi. (Codici studio: GODS GAIL)

Mentre nel sistema francese la soluzione dei conflitti di giurisdizione è devoluta al Tribunale dei conflitti, composto, in egual numero, da magistrati di Cassazione e da consiglieri di Stato, nell’ordinamento italiano tale compito è assolto dalle Sezioni unite della Corte di cassazione. Va chiarito, inoltre, che non esistono sezioni unite del Consiglio di Stato, bensì forme collegiali come l’Adunanza generale e l’Adunanza plenaria.

 

Distinzione tra diritto soggettivo e interesse legittimo

– diritto soggettivo: posizione di vantaggio che consente ad un soggetto di realizzare in modo pieno l’interesse ad un bene della vita attraverso l’uso degli strumenti consentiti dall’ordinamento

– interesse legittimo: posizione di vantaggio che consente ad un soggetto di tentare di realizzare l’interesse ad un bene della vita (es: conservare l’immobile) che sia oggetto di potere amministrativo (es: il potere di espropriare), attraverso l’uso degli strumenti idonei ad influire sul corretto esercizio di detto potere.

L’interesse legittimo è una situazione giuridica soggettiva, in qualche modo correlata al potere amministrativo, suscettibile di consentire la realizzazione dell’interesse al bene della vita a condizione di riuscire a dimostrare che l’interesse pubblico sia stato conseguito attraverso un uso NON corretto del potere amministrativo (cioè illegittimo e non inopportuno o inefficace).

Quindi, se la pubblica amministrazione decide di espropriare il privato, questi potrà opporsi all’esproprio solo dimostrando che l’amministrazione ha operato illegittimamente. Ugualmente il privato potrà tentare di soddisfare la sua pretesa di ottenere, ad esempio, un permesso di costruire, sempre solo dimostrando che l’amministrazione ha operato illegittimamente, in quanto egli è in possesso di tutti i requisiti richiesti dalle norme e la realizzazione dell’edificio è compatibile con l’assetto territoriale disegnato dalla pubblica amministrazione.

Tuttavia diritto soggettivo e interesse legittimo sono accomunati dalla natura di posizioni di vantaggio, anche se realizzano in modo differente l’interesse, perciò la distinzione tra i due non è sempre chiara e netta. Per questo motivo, alcuni hanno sostenuto che l’interesse legittimo non sia una situazione giuridica soggettiva autonoma, ma che costituisca semplicemente una species del genus diritto soggettivo.

L’influenza del diritto comunitario, inoltre, ha ulteriormente attenuato le distanze tra diritto soggettivo ed interesse legittimo, dal momento che, pur affermando l’autonomia dello Stato membro a qualificare in modo diverso situazioni giuridiche protette dal diritto comunitario come diritto soggettivo, ha sostenuto l’obbligo per il giudice interno competente di garantire l’effettività e l’analogia della tutela giurisdizionale.

 

La giurisdizione del giudice ordinario

In relazione alle controversie con le PPAA la giurisdizione ordinaria è andata riducendosi. In un ristretto novero di materie, per le quali la legge prevede l’esperimento di procedimenti speciali (sanzioni amministrative pecuniarie, trattamenti sanitari obbligatori in condizioni di degenza ospedaliera, espulsione di stranieri, impugnazione degli atti del Garante della privacy), al giudice ordinario è attribuita una giurisdizione più estesa, avendo anche la possibilità di incidere sull’atto amministrativo, annullandolo, modificandolo, sospendendolo.

A seguito della contrattualizzazione del rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni, al giudice ordinario è stato devoluto il complesso di controversie concernenti tale rapporto, ma ad eccezione di quelle relative alle procedure di concorso per l’assunzione del personale^ rimasta di spettanza del giudice amministrativo, invece, la giurisdizione in ordine ad alcune categorie di dipendenti dell’amministrazione statale (magistrati, avvocati dello Stato, militari e forze di polizia, diplomatici, personale della carriera prefettizia, personale di alcune autorità indipendenti, nonché, in via transitoria, professori e ricercatori universitari), in ordine ai quali si è conservato il regime del pubblico impiego.

In passato, il sindacato del giudice ordinario era assoggettato ad un duplice vincolo:

1) l’impossibilità di emettere sentenze costitutive e

2) l’impossibilità di annullare l’atto amministrativo, potendo solo disapplicarlo.

Quest’ultimo vincolo è ancora pienamente attivo, salvo le eccezioni, mentre NON sussiste più una preclusione generale a pronunciare sentenze costitutive o di condanna nei confronti dell’amministrazione.

Il giudice non può incidere sul contenuto del provvedimento amministrativo, ma può pronunciare qualunque sentenza nei riguardi dell’amministrazione ed adottare qualsiasi misura necessaria (provvedimenti d’urgenza, misure possessorie, ecc.). Tra l’altro, è possibile esperire nei confronti dell’amministrazione tutte le forme di esecuzione forzata indicate dal codice di procedura civile (costituiscono un’eccezione i beni demaniali ed i beni patrimoniali indisponibili, ai quali non si applica l’esecuzione forzata).

 

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