Nel linguaggio comune si usano espressioni che si intendono sinonime, come proprietà, possesso, appartenenza, fruizione, disponibilità, godimento. A ciascuna di esse, tuttavia, il linguaggio normativo assegna un significato tecnico preciso, che porta alla formazione di posizioni completamente differenti da quella originaria della proprietà.

La proprietà, quindi, non si presenta come un concetto immutabile, ma si colora di volta in volta dei contenuti che l’ideologia del tempo intende attribuirgli.

Nel linguaggio dei giuristi il termine proprietà indica un diritto e i modi con cui tale diritto si esercita, si trasferisce e si riduce. Quando il legislatore detta regole sulla proprietà, tuttavia, non ne fornisce una definizione, ma ne presuppone la nozione. Compito del giurista è di precisarne i contenuti, che di volta in volta possono cambiare.

La nozione di proprietà che emerge dalla Costituzione, ad esempio, non è identica a quella che emerge dal Codice civile: nel primo caso la proprietà viene accostata alla sua funzione sociale, mentre nel secondo viene messa in relazione con i suoi limiti interni.

La distanza tra la concezione comune di proprietà e quella giuridica è quindi notevole, cosa che si percepisce anche dai seguenti elementi:

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