L’espressione diritto musulmano (o diritto islamico) può essere adoperata in tre accezioni:

  • come traduzione dell’arabo fiqh, designante quella parte della legge religiosa (shari’a) che regola l’attività esterna del credente verso Dio, verso se stesso e verso gli altri;
  • come estratto di quelle parti del fiqh che sono veramente giuridiche, arricchite di quelle parti del diritto pubblico, estranee al fiqh, che i giuristi musulmani designano con il termine siyasa shar’iyya;
  • come il diritto vigente presso i musulmani di una data regione e comprendente non solo le parti del fiqh non cadute in desuetudine, ma anche il diritto locale consuetudinario, non necessariamente legato con l’islamismo.

Il diritto musulmano si afferma con la nascita dell’islam, termine questo che individua non solo la religione monoteistica fondata da Muhammad, ma anche il sistema politico, sociale e culturale che ad essa si riconnette. Qualsiasi ripartizione dell’islam in sistema religioso, sistema politico e sistema giuridico, comunque, rappresenta un adattamento occidentale, dal momento che per i musulmani l’islam rappresenta un unicum dogmatico, alla cui salvaguardia sono destinati i dottori della legge, i fuqaha, che godono di autorità puramente morale e intellettuale.

L’islam, pur tendendo a dominare tutte le manifestazioni della vita del credente, ignora completamente l’esistenza di un clero gerarchicamente organizzato e composto di soggetti investiti di caratteri sacramentali. Quello che comunemente viene definito come <<clero musulmano>>, quindi, rappresenta l’insieme degli addetti alle funzioni della moschea, dei quali può far parte qualsiasi musulmano, senza che sia necessaria alcuna investitura.

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