Il matrimonio tra battezzati è al tempo stesso contratto e sacramento. La definizione del matrimonio canonico è stabilita dal can. 1055 § 1.

Il Concilio di Trento ha definito una verità di fede relativa al matrimonio, ossia che il contratto matrimoniale tra due persone battezzate ha dignità di sacramento per sé stesso. Tale affermazione contraddisse la dottrina in auge nel XVI secolo secondo la quale è la benedizione sacerdotale a conferire al matrimonio il carattere di sacramento. Nel matrimonio tra battezzati contratto e sacramento sono così uniti tra loro da formare una sola cosa: il profilo sacramentale, cioè, non è qualità accidentale ed esterna al contratto, ma ne è parte, per cui la sacramentalità è un effetto che si produce con la perfezione contrattuale.

Nell’Antico Testamento il matrimonio era considerato simbolo dell’alleanza tra Dio e il Popolo d’Israele; nel Nuovo invece il matrimonio è simbolico dell’alleanza che unisce Cristo alla sua Chiesa.

Il sacramento non è quindi un elemento essenziale che affianca altri elementi nella struttura del matrimonio cristiano, ma è una caratterizzazione fondamentale che investe tutto il matrimonio nella sua integrità conferendo una speciale intensità a tutti gli elementi che lo caratterizzano.

L’amore che unisce i coniugi, il loro reciproco donarsi all’altro , l’impegno di fedeltà a cui sono chiamati si inseriscono nella realtà sacramentale del matrimonio, la quale costituisce una qualifica inerente all’essenza stessa del matrimonio cristiano, tanto da esserne inscindibile.

Nel matrimonio bisogna considerare l’aspetto naturale e quello spirituale: l’aspetto naturale esige il mutuo amore tra i coniugi, quale effetto sublimato dalle passioni, ed insieme il rispetto della dignità del consorte; l’aspetto soprannaturale inserisce il matrimonio come sacramento nella vita della grazia. Porre l’accento sulla dimensione naturale del matrimonio significa cogliere la base personalistica della fondazione cristiana del matrimonio, ma facendo ciò non bisogna comunque trascurare la dimensione spirituale, in quanto si fornirebbe una visione parziale del vincolo matrimoniale, contraria all’idea post-conciliare di inserire le realtà terrestri nella storia della salvezza.

Si pone il problema se la mancanza di fede dei nubenti o in uno di essi abbia un ruolo negativo quanto all’esistenza del sacramento. La risposta è che affinché sorga il sacramento basta che si tratti di contratto naturale tra battezzati, mentre non è necessario che sia un contratto tra credenti. La mancanza di fede (come lo stato di peccato del ministro) non hanno l’effetto di impedire la validità del sacramento, ma solo di impedirne la fruttuosità.

Riguardo la validità del Sacramento ci si pongono altre due domande: 1) se il sacramento sia valido nell’ipotesi in cui il soggetto ignori la natura sacramentale del matrimonio o ritenga che il matrimonio canonico non sia affatto un sacramento; 2) se il sacramento sia valido quando uno o entrambi i soggetti contraenti escludano la sacramentalità del matrimonio con un atto positivo di volontà. L’ipotesi di cui al 1) è determinata da un error iuris, ed è disciplinata nel can. 1099 del Nuovo Codice.

La sacramentalità del matrimonio fra battezzati non è una qualità aggiunta al contratto, ma è inerente ad esso tanto da non poterne essere separata. Però una certa corrente di pensiero attualmente obietta ciò, a fronte della crescente realtà dei battezzati non credenti, ossia di coloro che pur battezzati si sono allontanati dalla Chiesa. Tale situazione comunque non ha modificato la normativa, ed è rimasto vigente il principio che è sufficiente lo stato di battezzati perché il matrimonio venga inserito nell’economia della Salvezza ed acquisti dignità di sacramento.

Secondo il can. 1059 le leggi relative al Codice di diritto canonico interessano i matrimoni dei cattolici anche quando sia cattolica anche solo una delle parti. La norma prevede quindi la possibilità di un matrimonio in cui una delle parti sia non cattolica o persino non battezzata (anche se in questo caso il matrimonio non avrebbe validità di sacramento).

Il matrimonio in sostanza deve essere riguardato non solo come contratto ma anche come sacramento. A proposito interviene il can. 1055 che al § 1 dichiara che il patto coniugale è stato elevato alla dignità di sacramento da Cristo Signore, mentre al § 2 precisa che quando due persone battezzate contraggono validamente matrimonio, questo è sacramento.

Se il consenso degli sposi è essenziale, nel senso che essi sono i veri ministri del matrimonio, quale funzione ha il sacerdote? Al riguardo, nel XVI secolo Melchior Cano sostenne la tesi del sacerdote ministro e del carattere costitutivo della benedizione nuziale. In conclusione mentre la volontà degli sposi era richiesta per la costituzione del contratto, la presenza del sacerdote era necessaria per la costituzione del sacramento. Nel Concilio di Trento sorse una disputa tra varie correnti. Quella prevalente fu la tesi che dichiarava perfetto il matrimonio con il solo incontro del consenso degli sposi, considerando la presenza del sacerdote solo una questione di forma. Tale tesi in seguito fu leggermente variata, in quanto fermo restando il contenuto principale, la presenza del sacerdote fu considerata un requisito formale per la validità di tutti i matrimoni post-conciliari.

Il contratto matrimoniale fu ritenuto contratto consensuale formale in quanto sorgeva e si perfezionava con la reciproca manifestazione del consenso dei due coniugi prima e indipendentemente dalla copula coniugale. Nel periodo del Primo Cristianesimo e della Patristica la consumazione del matrimonio non era considerata come elemento essenziale per la validità del vincolo. Tra il IX e il XII secolo sorse una disputa tra Ugo da S. Vittore che riteneva che il mero consenso fosse l’elemento unico per la costituzione del matrimonio, e Incmaro da Reims (806-882) che affermava la necessità della commixtio sexuum al fine del perfezionamento del matrimonio. Nel XII secolo la disputa si accese ulteriormente con le posizioni di Graziano della scuola di Bologna e Pietro Lombardo della scuola teologica di Parigi. Graziano tenta di far concordare le due diverse concezioni sostenendo che nel processo formativo del vincolo vanno distinti due momenti: il coniugium initiatum che sorge dal matrimonio consensuale e il coniugium perfectum che si ha solo dopo la consumazione. La tesi, che ebbe molta fortuna in Italia causò invece una violenta polemica Oltralpe in quanto Pietro Lombardo sosteneva la tesi della sufficienza del consenso ai fini della validità del vincolo coniugale. Egli infatti affermava che negli sponsalia – cioè nello scambio dei consensi- vanno distinti due oggetti di tale volontà : la desponsatio ossia lo scambio di consensi in sé stesso che può contenere una pactio coniugalis nella quale si esprime il consenso a far nascere immediatamente il vincolo tra l’uomo e la donna che manifestano tale volontà.

Nel diritto matrimoniale canonico la distinzione fondamentale è tra matrimonium ratum e matrimonium ratum et consumatum, come riportato nel can. 1061 del Nuovo Codice di diritto canonico. Il matrimonio rato è il matrimonio validamente contratto tra due battezzati; il matrimonio rato e consumato è quello in cui dopo la celebrazione è intervenuta la copula coniugale.

Nel diritto canonico per copula coniugale giuridicamente rilevante si intende l’unione sessuale dei corpi dei coniugi potenzialmente idonea alla generazione. Quindi affinchè si abbia un amplesso coniugale giuridicamente rilevante si richiede nell’uomo l’esistenza e la funzionalità degli organi copulativi e generativi, mentre nella donna è necessaria la solo esistenza e funzionalità degli organi copulativi.

La mancanza di volontà, i vizi della volontà e la volontà condizionata comportano l’invalidità o nullità giuridica del matrimonio. Perché si affermi la nullità del matrimonio bisogna superare una presunzione generale che ha come risultato quello di far presumere a priori valido ogni matrimonio, salvo la prova contraria. Tale favor matrimonii è previsto nel Nuovo Codice al can. 1060, ed è istituito onde evitare che il dubbio circa la nullità verta sul valore del vincolo e non sull’esistenza dello stesso. Il presente canone intende difendere il matrimonio sia tra battezzati che non. Una volta celebrato il matrimonio, esso viene ritenuto valido anche se emergono elementi che potrebbero far dubitare della sua validità.

Il can. 1061 dispone che una volta celebrato il matrimonio si presume la consumazione se i coniugi abbiano coabitato, salva la possibilità della prova contraria. Altra regola importante è quella dettata dal can. 1085 § 2 secondo cui anche se un matrimonio precedente sia da considerare nullo o sciolto, non per questo è lecito contrarne un altro prima che si sia proceduto a constatare legittimamente e con certezza la nullità o lo scioglimento del precedente. Il can. 1101 § 1 presume che il consenso interno sia conforme alle parole e ai segni usati nella celebrazione del matrimonio, mentre secondo il can. 1100 la consapevolezza della nullità del proprio matrimonio non esclude necessariamente il consenso matrimoniale.

A proposito del favor iuris si distingue tra:

dubium iuris => il dubbio di diritto, ossia il dubbio che sopravviene circa l’idoneità di un determinato motivo a rendere nullo il matrimonio

dubium facti => il dubbio di fatto, relativo all’effettiva esistenza di quel motivo nella fattispecie considerata

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