Il danneggiato esercita il suo diritto alla restituzione e al risarcimento dl danno, costituendosi parte civile. Detta costituzione avviene per mezzo di una dichiarazione scritta contenente: le generalità del soggetto che si costituisce, le generalità dell’imputato, le ragioni che giustificano la costituzione (la causa petendi), l’indicazione del difensore munito di procura. Per quanto riguarda il difensore: la parte civile non può stare in giudizio personale ma deve farlo per mezzo del difensore a cui conferisce apposita procura. La parte civile può concedere al difensore due tipi di procura.

La procura ad litem (o mandato alle liti), che legittima il difensore a compiere tutti gli atti necessari e la procura speciale, che permette al difensore di agire quale rappresentante del danneggiato (in questo caso potrà costituirsi parte civile in rappresentanza del danneggiato, potere di cui non dispone il procuratore ad litem).

Per quanto riguarda il momento in cui il danneggiato può costituirsi parte civile: detta costituzione può avvenire, ai sensi dell’articolo 78 del c.p.p., o all’apertura dell’udienza preliminare o all’apertura dell’udienza dibattimentale. La costituzione avviene con la presentazione in udienza della dichiarazione direttamente al giudice ovvero con il deposito della dichiarazione presso il giudice competente (in questo caso è necessaria la notificazione della dichiarazione alle altre parti).

L’articolo 79 impone un termine ultimo di decadenza alla costituzione di parte civile: essa non può avvenire oltre i termini previsti per la costituzione delle parti per l’udienza dibattimentale. L’articolo 79 comma 3 prevede, inoltre, che se la costituzione avviene a meno di 7 giorni dalla data fissata per il dibattimento, la parte civile non può avvalersi della facoltà di presentare la lista dei testimoni, periti o consulenti tecnici.

Ai sensi dell’articolo 76 comma 2 del c.p.p.:“La costituzione della parte civile dispiega i propri effetti in ogni stato e grado del processo” (si parla di immanenza della costituzione). Questa regola ha una serie di conseguente.

La parte civile non dovrà rinnovare la sua costituzione nei successivi gradi di giudizio. Essa non ha l’onere di impugnare la decisione con cui l’imputato viene assolto in primo grado, potendo giovare dell’appello presentato dal pubblico ministero. Qualora tale appello venga accolto, il giudice competente dovrà pronunciarsi anche sulla domanda di restituzione/risarcimento presentata dalla parte civile.

Inoltre, la parte civile non deve essere presente in udienza (e nemmeno il suo difensore). L’assenza, data l’immanenza della costituzione, non può considerarsi equivalente ad una revoca tacita della costituzione. L’unica udienza in cui il difensore deve essere presente, è quella che chiude la fase dibattimentale. In questa udienza il difensore deve presentare conclusioni scritte indicando con chiarezza l’ammontare del risarcimento richiesto (il c.d. petitum della dichiarazione).

La legge non prevede l’adozione di un formale provvedimento di ammissione della parte civile; ciò nonostante il giudice è obbligato a verificare la regolare costituzione di tutte le parti, compresa la parte civile.

La parte civile che si è costituita in giudizio può, inoltre, essere esclusa dal processo (su istanza del P.M, dell’imputato, del responsabile civile o d’ufficio) quando il giudice accerti che mancano i presupposti sostanziali (manca ad es. la capacità processuale) ovvero i requisiti formali (non sono stati rispettati i termini per la presentazione della dichiarazione) richiesti per la costituzione in giudizio della parte civile.

L’esclusione avviene con un’ordinanza inimpugnabile (è invece impugnabile l’ordinanza che rigetta la domanda di esclusione proposta dall’imputato, dal P.M o dal responsabile civile). Se l’esclusione avviene nella fase dell’udienza preliminare, l’escluso può riproporre la sua costituzione prima dell’udienza dibattimentale (nulla esclude, infatti, che egli abbia sanato eventuali vizi).

La parte civile può, inoltre, revocare la sua costituzione con una dichiarazione resa in udienza ovvero con una dichiarazione depositata presso la cancelleria del tribunale. la revoca opera ex lege nel caso in cui la parte civile non si sia presentata all’udienza finale del dibattimento per presentare le sue conclusioni scritte (articolo 523 del c.p.p.) ovvero abbia promosso azione dinanzi al giudice civile (articolo 82 comma 2 del c.p.p.).

Per quanto concerne, infine, la possibilità del danneggiato di promuovere azione dinanzi al giudice civile, il legislatore ha voluto favorire questa capacità dal momento che il giudice civile è il giudice naturale del danneggiato (si parla di favor separationis, cioè di favore del legislatore per la separazione delle conseguenze civili dalle conseguenze penali del reato).

Parlando dei rapporti tra azione civile e azione penale, l’articolo 75 del c.p.p. prende in considerazione diverse ipotesi.

L’azione civile, esercitata dinanzi al giudice civile, viene trasferita nel processo penale: ciò è possibile fino a quando è consentita la costituzione della parte civile ai sensi degli articoli 76 e ss. del c.p.p. e sempre che il giudice civile non abbia ancora pronunciato sentenza di merito. Questa regola vuole, ovviamente, evitare che la stessa domanda sia decisa da due giudici diversi. Il trasferimento dell’azione civile davanti al giudice penale, comporta l’automatica rinuncia agli atti del giudizio civile (che, conseguentemente, sarà dichiarato estinto).

Se l’azione civile è stata proposta davanti al giudice penale e viene successivamente trasferita in sede civile, bisogna distinguere due ipotesi:

Se in sede penale è già stata adottata sentenza di primo grado: il procedimento civile rimarrà sospeso fin quando non diverrà irrevocabile la decisone assunta dal giudice penale. A questo punto la decisone del giudice penale avrà efficacia di giudicato vincolante anche per il giudice civile.

Se in sede penale non è ancora stata adottata sentenza di primo grado: il procedimento civile, conseguente al trasferimento dell’azione dal giudice penale al giudice civile, si svolgerà parallelamente al procedimento penale (senza subire sospensioni e senza che la decisione del giudice penale abbia efficacia di giudicato vincolante). Ciò significa che il giudice civile sarebbe libero di condannare l’imputato al risarcimento del danno anche se il giudice penale ha optato per l’assoluzione (il giudice penale, infatti, eserciterebbe la giurisdizione sulle conseguenze penali del reato; il giudice civile sulle conseguenze civili).

A conclusione di questa trattazione occorre ricordare che la presenza della parte civile nel processo penale è stata più volte criticata per due ragioni.

L’attribuzione al giudice penale del compito di accertare non solo le conseguenze penali ma anche quelle civili del reato, è stato considerato in contrasto con gli obiettivi di semplificazione dell’attività processuale (ciò nonostante l’unificazione favorisce, senza dubbio, l’economicità processuale).

La parte civile agisce nel processo come una vera e propria accusa privata, interessata ad ottenere la condanna dell’imputato. Ciò conduce ad una totale asimmetria fra le parti: la difesa, infatti, deve difendersi da due accusatori. Ciò appare in contrasto con il principio della parità delle parti, sancito a livello costituzionale dall’articolo 111 comma 2 della Costituzione.

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