L’opinione dominante la considera come un’impugnazione rescindente, altri come sostitutiva. Ha per oggetto un vizio, che se riconosciuto esistente sfocia in una pronuncia in cui si esaurisce la fase rescindente; se viene riconosciuta la fondatezza dell’impugnazione si apre la fase rescissoria che ha per oggetto lo stesso oggetto del procedimento terminato con la sentenza impugnata.
È un’impugnazione talvolta ordinarie e talvolta straordinaria:
– Ordinaria per i motivi di cui al n. 4) e 5) dell’art. 395 c.p.c.;
– Straordinaria per i motivi di cui ai n. 1), 2), 3), 6) dell’art. 395 c.p.c.
Il giudice competente è lo stesso ufficio giudiziario che ha pronunciato la sentenza impugnata.
Provvedimenti impugnabili:
– Sentenze d’appello: bisogna distinguere i motivi di revocazione che possono essere fatti valere a seconda che la sentenza sia passata o meno in giudicato:
Prima del passaggio in giudicato la revocazione è proponibile per tutti i motivi (quindi si può proporre la revocazione per i motivi n. 1), 2), 3), 6) anche contro la sentenza non ancora passata in giudicato);
Dopo il passaggio in giudicato la revocazione è proponibile solo per i numeri 1), 2), 3) e 6).
– Sentenze in unico grado: vale la stessa disciplina prevista per le sentenze d’appello;
– Sentenze di primo grado: bisogna distinguere fra prima e dopo il passaggio in giudicato:
Prima del passaggio in giudicato non si può proporre la revocazione per nessun motivo. Se si verificano i fatti previsti come motivi di revocazione prima del passaggio in giudicato allora ci si può dolore di quei fatti con l’appello;
Dopo il passaggio in giudicato si può proporre la revocazione per i motivi n. 1), 2), 3), 6).
Si distingue fra motivi di revocazione ordinaria e straordinaria perché i fatti che sono motivi di revocazione ordinaria possono essere conosciuti dalla parte dal momento stesso della pubblicazione della sentenza, viceversa i fatti configurati come motivi di revocazioni straordinaria possono essere conosciuti dalla parte anche a distanza di anni (ecco perché la revocazione straordinaria può essere proposta dopo il passaggio in giudicato della sentenza).
Termini per proporre la revocazione:
– Revocazione ordinaria:
Termine lungo di 6 mesi;
Termine breve di 30 giorni se viene notificata la sentenza dalla parte vittoriosa alla parte soccombente.
– Revocazione straordinaria:
Non vi è un termine lungo;
Il termine breve di 30 giorni decorre dal momento della scoperta del fatto oggetto del motivo di revocazione straordinaria (bisogna fornire la prova del momento della scoperta del fatto).
Se il termine per proporre l’appello non è ancora scaduto, allora quei fatti che costituirebbero motivi di revocazione straordinaria si devono far valere in appello:
– Se i fatti previsti come motivo di revocazione straordinaria vengono scoperti prima del passaggio in giudicato della sentenza, da quel momento decorre il termine di 30 giorni per proporre l’appello;
– Se il termine residuo per proporre l’appello è inferiore a 30 giorni, viene prorogato fino a 30 giorni.
La revocazione può essere proposta anche contro provvedimenti diversi dalle sentenze di primo grado, di unico grado, o d’appello:
– Sentenza con cui la Cassazione pronuncia su un qualsiasi motivo di ricorso per Cassazione (revocazione solo per errore di fatto);
– Contro le decisioni di merito della Cassazione si può proporre la revocazione straordinaria;
– Si può proporre la revocazione straordinaria anche contro il lodo arbitrale ex art. 831 c.p.c.;
– Si può proporre la revocazione straordinaria contro il decreto ingiuntivo divenuto definitivo (per i motivi n. 1), 2), 5), 6) art. 395 c.p.c.);
– Contro le ordinanze di convalida di licenza o di sfratto. La proponibilità qui è conseguente ad alcune sentenze della Corte Costituzionale.
In caso di concorso fra ricorso in Cassazione e revocazione (prima del passaggio in giudicato di una sentenza d’appello o in unico grado, la revocazione è proponibile per tutti i motivi di revocazione. Ma contro una simile sentenza può anche essere proposto ricorso per Cassazione) la proposizione delle revocazione non sospende il termine per proporre ricorso per Cassazione e neppure giudizio di Cassazione. Su istanza di parte però il giudice della revocazione può sospendere il termine per proporre ricorso per Cassazione, o il procedimento di Cassazione, fino a che non intervenga la sentenza sulla revocazione (non è una sospensione automatica ex lege, è disposta dal giudice).
Motivi di revocazione (devono sempre avere rilievo causale):
1. Se la sentenza è l’effetto del dolo di una parte in danno dell’altra: sono necessari degli artifizi e raggiri che siano stati determinanti per il contenuto della sentenza (es. sottrazione di atti). Non integra il dolo l’allegazione di fatti non veritieri, parziali o tendenziosi, e neanche il riportare la dottrina e la giurisprudenza solo a sé favorevoli;
2. Se si è giudicato in base a prove riconosciute o dichiarate false dopo la sentenza, o che la parte ignorava essere state riconosciute o dichiarate false prima della sentenza. Qui il riconoscimento deve provenire dalla parte avversa, o deve essere contenuto in una sentenza. Non si può far valere come motivo revocatorio la falsità del giuramento (si potrà chiedere solo il risarcimento del danno). Si può far valere la falsità della CTU;
3. Se dopo la sentenza sono rivenuti uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per forza maggiore o fatto dell’avversario. Vengono in rilevo le stesse questioni relative a quando un fatto sia decisivo (vedi p. 224).
Si è fatto il tentativo di evitare contrasti logici fra giudicati, si è sostenuto che la sentenza precedente che ha pronunciato sulla questione dipendente si poteva impugnare per revocazione ex n. 3) art. 395 c.p.c. producendo la sentenza pronunciata successivamente (quasi fosse un documento). È stata rigettata;
4. Se la sentenza è l’effetto dell’errore di fatto;
5. Se la sentenza è contraria ad altra precedente avente autorità di cosa giudicata, purché la sentenza non abbia pronunciato sulla relativa eccezione. Nella sentenza non deve esserci una pronuncia che escluda il contrasto fra giudicati; se vi è questa pronuncia il rimedio è quello della revocazione ordinaria se non c’è una pronuncia sull’eccezione di giudicato, e quello del ricorso per Cassazione ex n. 4) art. 395 c.p.c. se c’è una decisione sull’eccezione di giudicato (altre opinioni ritengono che il ricorso si debba proporre ex n. 1) o 3), vedi p. 222).
Primo problema è stabilire se sia necessario che venga sollevata l’eccezione di giudicato o sia sufficiente produrre in giudizio la sentenza. Vi sono due orientamenti:
– C’è chi dice che è rilevabile d’ufficio (è un presupposto processuale), quindi è sufficiente produrre la sentenza;
– La giurisprudenza distingue fra:
Giudicato interno: si è formato nell’ambito del processo in cui è stata pronunciata la sentenza che ha violato il giudicato (può essersi prodotto anche nei gradi precedenti). È rilevabile d’ufficio;
Giudicato esterno: si è formato in un processo autonomo. Non è rilevabile d’ufficio, è un’eccezione in senso stretto. Quest’opinione è stata criticata perché si è posto in rilevo come l’eccezione di litispendenza sia certamente rilevabile d’ufficio, e la litispendenza e l’eccezione di cosa giudicata hanno la medesima ratio (si dice che l’eccezione di litispendenza è un’eccezione di cosa giudicata anticipata, mira a prevenire il contrasto di giudicati). Allora non è coerente con la configurazione della litispendenza come eccezione in senso lato distinguere fra giudicato interno ed esterno e configurare la violazione di quest’ultimo come eccezione in senso stretto.
La giurisprudenza ritiene insufficiente la produzione della mera sentenza formatasi in altri processi, ritiene necessaria anche la sollevazione dell’eccezione.
Ci si chiede quale sia la sentenza che prevalga quando vi sia stata una violazione del giudicato e non venga proposta l’impugnazione (prevale la prima sentenza o la seconda sentenza che ha violato il giudicato?):
– L’opinione prevalente ritiene che prevalga la seconda sentenza, questo perché quando la parte che aveva il potere d’impugnare la sentenza viziata e non l’ha fatto ha con ciò rinunciato alla prima sentenza (la mancata impugnazione determinerebbe una specie di sanatoria del vizio). È l’opinione prevalente;
– Sarebbe preferibile l’opinione secondo cui è la prima sentenza che prevale, questo in quanto nel nostro ordinamento non è ammesso che venga posto in essere un atto e si produca un effetto che si è già prodotto in precedenza (es. se il contratto è già stato risolto tra le parti il giudice non può pronunciare la risoluzione di quel contratto per inadempimento). Il secondo giudice quindi non aveva il potere giurisdizionale, pertanto la seconda sentenza va considerata come inesistente. Inoltre non è sempre vero che la mancata impugnazione di una sentenza sana il vizio della stessa, vi sono delle sentenze inesistenti per le quali è possibile proporre l’appello, e la mancata proposizione non sana il vizio (es. sentenza priva della sottoscrizione del giudice).
La fase rescindente e la fase rescissoria si svolgono davanti allo stesso giudice, ma l’art. 402 c.p.c. prevede due modalità differenti di svolgimento di queste due fasi:
– Il primo comma prevede che venga emanata un’unica sentenza con cui si pronuncia la revocazione e con cui viene anche pronunciata la decisione di merito;
– Il secondo comma prevede l’ipotesi in cui il giudice ritenga necessario disporre ulteriori mezzi istruttori, in questo caso può pronunciare la revocazione e rimettere con ordinanza la causa davanti al giudice istruttore perché proceda all’istruzione della causa e questa venga poi decisa nel merito.
Si ha la possibilità di distinguere fase rescindete e fase rescissoria, oppure che queste terminino con un’unica sentenza.
La sentenza pronunciata nel giudizio di revocazione può essere impugnata con tutte le revocazioni previste originariamente contro la sentenza impugnata, ma non può essere impugnata a sua volta per revocazione. È vero che la sentenza pronunciata al termine del giudizio di revocazione non può essere impugnata con revocazione, ma questo solo per lo stesso motivo (quando si parla di motivo si deve far riferimento al fatto concreto, quindi sarebbe proponibile una revocazione per lo stesso numero purché il fatto revocatorio sia differente).
Quando si estingue il giudizio di revocazione ordinaria si applica l’art. 338 c.p.c. che disciplina anche l’estinzione del giudizio di revocazione ordinaria (oltre che l’estinzione del giudizio d’appello), quindi passa in giudicato la sentenza salvo che siano stati modificati gli effetti con provvedimenti pronunciati nel processo estinto. Questi provvedimenti riguardano:
– Secondo l’opinione che configura la revocazione come impugnazione rescindente questi provvedimenti sono costituiti dalla pronuncia sulla revocazione quando il processo prosegue nella sua fase rescissoria per la pronuncia sul merito (sullo stesso oggetto che era oggetto della sentenza impugnata). Quest’ipotesi si verifica nel caso previsto dall’art. 402.2 c.p.c.: quando il collegio, anziché pronunciare un’unica sentenza con cui emette il giudizio rescindente e giudizio rescissorio, ritiene necessari ulteriori mezzi istruttori limitandosi a pronunciare sentenza sulla revocazione. Questa sentenza annulla la sentenza impugnata, il processo prosegue nella sua fase rescissoria e si estingue, a questo punto non può passare in giudicato la sentenza impugnata perché c’è stata la pronuncia di revocazione che ha dichiarato fondato il motivo revocatorio e che ha annullato la sentenza impugnata;
– Altra opinione afferma che la revocazione è un’impugnazione sostitutiva, ha per oggetto lo stesso oggetto del procedimento terminato con la sentenza impugnata. Se si esaminano tutti i motivi di revocazione della sentenza, compresi quelli dall’art. 397 c.p.c. che prevede la revocazione proposta dal PM, sono solo tre sono le ipotesi di sentenza viziata:
Quelle previste dal n. 4) e 5) dell’art. 395 c.p.c. (errore di fatto e violazione di giudicato);
Quella prevista dal n. 1) dell’art. 397 c.p.c. (mancata audizione del PM).
Tutte le altre ipotesi non determinano un vizio della sentenza, sono solo sintomi di possibile ingiustizia della sentenza. Poiché il legislatore ha equiparato quelle tre ipotesi di vizi della sentenza ai possibili sintomi di ingiustizia della sentenza, significa che li ha configurati anch’essi come sintomi di ingiustizia della sentenza. La conseguenza è che quando il giudice della revocazione si limita a pronunciare sulla revocazione disponendo che il processo prosegua perché ha disposto ulteriori mezzi istruttori, non annulla la sentenza ma pronuncia sulla ammissibilità della revocazione (i motivi di revocazione sono condizioni di ammissibilità dell’impugnazione). Quando si estingue il giudizio di revocazione ordinaria dopo la pronuncia sulla sola revocazione, passa in giudicato la sentenza perché la pronuncia sulla revocazione ha dichiarato esistente la condizione di ammissibilità fatta valere come motivo di revocazione.
A norma dell’art. 338 c.p.c. la sentenza impugnata con revocazione non passa in giudicato quando sono stati modificati i suoi effetti con provvedimenti pronunciati nel procedimento estinto, secondo quest’opinione questi provvedimenti sono gli stessi provvedimenti che nel giudizio di appello impediscono il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado (sentenze non definitive).
Anche il PM può impugnare per revocazione la sentenza nei casi in cui era obbligatorio il suo intervento ai sensi dell’art. 70 c.p.c. (art. 397 c.p.c.). Sono due le ipotesi in cui il PM ha questo potere:
– Quando la sentenza è stata pronunciata senza che egli sia stato sentito;
– Quando la sentenza è effetto della collusione posta in opera dalle parti per frodare la legge. Per “sentito” basta che gli siano stati trasmessi gli atti, non è necessario che intervenga effettivamente.