Il giudice può ordinare l’intervento del terzo quando vi sono due presupposti (è un potere insindacabile):

– Per ragioni di opportunità;
– Sempre che ritenga la causa comune al terzo.
Può farlo in ogni momento della causa, anche dopo che sono scattate le preclusioni per le altre parti per chiamare in causa il terzo ( quando non è più possibile l’intervento coatto su istanza di parte).
Anche qui vi è un concetto di comunanza di cause:
– La maggior parte degli interpreti interpreta questo presupposto in modo omogeneo rispetto al concetto di comunanza di cui all’art. 106 c.p.c.
– Consolo invece segue un criterio casistico fondato su ragioni di opportunità: uno dei problemi fondamentali, in tema di intervento coatto per ordine del giudice (o iussu iudicis), è conciliare questo istituto con il principio della domanda. Consolo, nelle ipotesi in cui lui ammette l’intervento coatto per ordine del giudice, ammette sempre che vi sia una violazione soggettiva del principio della domanda, ma dice che in fondo è di scarsa importanza e la giustifica in vari modi:
Ammette che il giudice possa ordinare l’intervento del terzo che potrebbe fare intervento principale (del terzo pretendente). In questo caso vi è anche una violazione oggettiva (poiché ammette che venga proposta la domanda di accertamento negativo nei confronti del terzo), ma in fondo è una violazione minima perché si discute sempre quale sia il titolare sul medesimo bene;
Ammette che il giudice possa ordinare l’intervento del terzo che potrebbe fare intervento adesivo. Non si ha nessun ampliamento della materia del contendere, sia ha solo una minima violazione del principio della domanda sotto il profilo soggettivo;
Ammette che il giudice possa ordinare l’intervento del terzo anche nei casi in cui la sentenza sia efficace nei suoi confronti (nel caso in cui sia soggetta a cosa giudicata nei confronti del terzo). In questo caso l’intervento iussu iudicid ha la funzione di consentire al terzo di far valere i suoi diritti di difesa nel processo;
Ammette che il giudice possa ordinare l’intervento del terzo vero obbligato perché in questo modo tutela i diritti dell’attore incolpevole che per errore incolpevole ha agito nei confronti di chi non è il vero responsabile;
Non ammette la chiamata del terzo che potrebbe fare intervento litisconsortile perché c’è una violazione troppo grande del principio della domanda (le domande sono molto labilmente connesse). Del resto non ammetteva nemmeno l’intervento coatto su istanza di parte del terzo che potrebbe fare intervento litisconsortile.
Viene proposta una domanda nei confronti del terzo, il terzo diventa parte?
Questo è un problema importante perché si tratta di conciliare il principio della domanda con il potere del giudice di chiamare il terzo. Il giudice ordina l’intervento, poi qualsiasi parte ha l’onere di provvedervi. L’intervento viene effettuato mediante notificazione dell’atto di citazione entro un termine fissato dal giudice. Se non viene osservato questo termine, il giudice ordina la cancellazione della causa dal ruolo, il processo entra in uso stato di quiescenza e deve essere riassunto entro un certo termine altrimenti si estingue (questo termine era di 1 anno, ma in seguito alla L. 69/’09 è stato ridotto a tre mesi).
Sotto questo profilo vi è una differenza con l’inosservanza del termine per integrare il contraddittorio a norma dell’art. 102 c.p.c. che disciplina il litisconsorzio necessario, perché se non viene osservato quel termine la causa viene cancellata dal ruolo ed il processo si estingue immediatamente.
Vi sono più opinioni circa il fatto se il terzo divenga parte o meno del processo:
– L’opinione tradizionale ritiene che con la notificazione del terzo venga proposta una domanda nei confronti suoi confronti, che tradizionalmente è una domanda di mero accertamento sul rapporto giuridico originariamente controverso. Il terzo pertanto diventa parte ed è soggetto alla cosa giudicata.
Questa opinione mal si concilia con il principio della domanda. Si supera dicendo che in fondo la parte non è obbligata a proporre la domanda, ma l’ordine fa sorgere un onere per la parte. La critica è che la volontà della parte è coartata. Libertà di agire in giudizio significa libertà di agire ma anche libertà di non agire in giudizio. È l’opinione più diffusa;
– Con la chiamata del terzo in realtà non si propone nessuna domanda, semplicemente si ha una denunzia di lite (denuntiatio litis). Il terzo non diventa parte e non è soggetto alla cosa giudicata, se vuole fa l’intervento volontario determinando un ampliamento della materia del contendere. È l’opinione più rispettosa del principio della domanda. È l’opinione preferibile;
– Con la citazione al terzo si fa una mera denuncia di lite cui la legge ricollega l’effetto di estendere la qualità di parte al terzo e quindi renderlo soggetto alla cosa giudicata. Lascia perplessi perché, in base al principio che la natura dell’atto e del potere esercitato si desume dalla natura dell’effetto, poiché la qualità di parte si acquista per effetto della proposizione della domanda bisognerebbe poi dedurre che si ha una vera e propria proposizione di domanda (e non una denuncia di lite).
Il giudice può ordinare la chiamata del terzo in ogni momento (art. 270 c.p.c.), anche quando è già preclusa la possibilità per il terzo di chiamare una parte. In seguito all’introduzione del sistema delle preclusioni taluni hanno ritenuto che queste operino una sorta di rimessioni in termini nei confronti della parte che trae un vantaggio dalla chiamata del terzo. È stato pertanto proposto di ridurre temporalmente il tempo fino al momento in cui le parti hanno ancora la possibilità di chiamare il terzo. Questa interpretazione non è stata accolta dalla giurisprudenza (questa mantiene l’interpretazione secondo cui il giudice ha la possibilità di ordinare la chiamata del terzo in ogni momento).
I poteri del terzo devono essere determinati dal tipo di situazione sostanziale in relazione al quale viene chiamato (situazione sostanziale cosiddett legittimante).
Il processo con cumulo di cause (oggettivo o soggettivo, o soggettivo e oggettivo) deve essere configurato come un unico processo, o come un fascio di processo che sono affiancati (tanti quante sono le situazioni sostanziali controverse)?
Se si ammette che il processo sia un fascio di procedimenti che si svolgono contemporaneamente, allora è possibile che trovino applicazione degli istituti particolari soltanto con riferimento ad alcune delle domande cumulate (es. un soggetto che ha proposto più domande, potrebbe rinunciare agli atti del giudizio con riferimento ad una sola delle domande).

 

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