L’art.73 comma 5 prevedeva in origine una circostanza attenuante speciale qualora il fatto si fosse rivelato minimamente pericoloso rispetto al risultato della diffusione degli stupefacenti.

Nel 2013 il comma in esame viene novellato, trasformando la circostanza attenuante in autonoma figura di reato, rendendo quindi inapplicabili i criteri di bilanciamento.

Nonostante le modifiche, i caratteri costitutivi del fatto di lieve entità sono rimasti gli stessi: esso è configurabile nelle ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia da altri parametri come mezzi, modalità e circostanze dell’azione. Come chiarito dalla Sezioni Unite, la valutazione circa la lieve entità non può basarsi esclusivamente sulla natura dello stupefacente, riconoscendo ad esempio la lieve entità solo per le droghe leggere: l’accertamento implica invece una valutazione più complessa di tutti gli elementi del caso concreto, selezionati in relazione a tutti gli elementi sintomatici.

La qualificazione del “fatto di lieve entità” come titolo autonomo di reato è affermata esplicitamente dalla relazione di accompagnamento del decreto legge, ma è anche riscontrata dalla clausola di riserva con cui si apre la norma: “salvo che il fatto costituisca più grave reato”.

La scelta di punire in maniera più mite il fatto di lieve entità è stata accolta positivamente dalla Corte Costituzionale che ha chiarito: mentre al comma 1 è prevista la condotta del grande trafficante che dispone di significative risorse economiche, al comma 5 è contemplata la condotta del piccolo spacciatore, per lo più straniero e disoccupato, che si procura da vivere svolgendo sulla strada la rischiosa attività di vendita degli stupefacenti.

Ad ogni modo è possibile dubitare della legittimità costituzionale, sotto un profilo formale, dell’attuale comma 5. Come abbiamo detto, la novella è intervenuta nel 2013, in vigenza della legge Fini-Giovanardi, che però verrà dichiarata incostituzionale nel 2014.

Il nuovo comma 5 pertanto potrebbe essere affetto da irragionevolezza essendo stato emanato sul presupposto di una disciplina dichiarata poi illegittima. La Corte Costituzionale, nel 2016, ha però dichiarato inammissibile la questione di legittimità, affermando che la sentenza del 2014 che aveva abrogato la legge Fini-Giovanardi era fondata sul vizio procedurale di cui era affetta la predetta legge, senza alcuna critica circa la sostanza della legge; pertanto l’attuale formulazione del comma 5 è, secondo la Corte, legittimo.