Come detto, uno dei requisiti per l’esistenza di un principio generale di diritto comune agli ordinamenti statali è che esso sia uniformemente seguito nella più gran parte (non totalità) degli Stati. Ne deriva che la ricostruzione di un principio del genere può consentire al giudice di uno Stato di farne applicazione anche quando il principio medesimo non esista nell’ordinamento statale.

Nel caso italiano, ad esempio, i principi generali di diritto comuni agli ordinamenti statali fanno parte dell’ordinamento in forza dell’art. 10 Cost. ( l’ordinamento italiano si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute ). Dato che in base a tale articolo la contrarietà di una legge italiana al diritto internazionale generale comporta l’illegittimità costituzionale della medesima, tale illegittimità può dichiararsi anche in caso di contrarietà ad un principio generale di diritto riconosciuto dalle nazioni civili.

Al riguardo occorre citare la sent. n. 48 del 1967 della Corte costituzionale, che affronta il problema dell’incostituzionalità ex art. 10 co. 1 Cost. dell’art. 11 co. 1 c.p. (possibilità di sottoporre di nuovo a giudizio in Italia chi sia stato giudicato all’estero): era infatti stato sostenuto che l’art. 11 co. 1 c.p. contrastasse col principio del ne bis in idem e che questo fosse un principio generale di diritto riconosciuto in tutti gli ordinamenti, come tale richiamato dall’art. 10 co. 1 Cost. La Corte, tuttavia, respinse la tesi di incostituzionalità, fondandosi correttamente sulla circostanza che in nessuno o quasi degli ordinamenti statali il principio del ne bis in idem è previsto in rapporto alle sentenze penali straniere (mancanza dell’elemento della diuturnitas).

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