L’art. 67, comma 1, prevede:

In caso di mancata ottemperanza o di contestazione del riconoscimento della sentenza straniera o del provvedimento straniero di volontaria giurisdizione, ovvero quando sia necessario procedere ad esecuzione forzata, chiunque vi abbia interesse può chiedere alla corte d’appello del luogo di attuazione l’accertamento dei requisiti del riconoscimento.

Per chiedere il riconoscimento deve ricorrere almeno uno dei presupposti indicati nella norma.

Perfettamente comprensibile è la disposizione del comma 2: “La sentenza straniera o il provvedimento straniero di volontaria giurisdizione, unitamente al provvedimento che accoglie la domanda di cui al comma 1, costituiscono titolo per l’attuazione e per l’esecuzione forzata”.

Valore di precedente potrà pertanto riconoscersi soltanto al sistema di exequatur della Convenzione di Bruxelles. Questa, tuttavia, è limitata alle decisioni in materia civile e commerciale, le quali devono sempre essere fatte valere nei confronti di un soggetto determinato (tipicamente un debitore), mentre il dispositivo della nuova legge sembra dover essere applicato anche alle sentenze in forza delle quali viene posto in essere in Italia un qualche effetto tradizionalmente considerato “esecutivo” (o assimilato ad esso).

Dopo alcune incertezze iniziali, la giurisprudenza ha stabilito che la domanda di accertamento dei requisiti per dichiarare l’efficacia delle sentenze straniere dev’essere proposta con atto di citazione notificato al soggetto nei cui confronti si vuoi far valere la sentenza.

Il “rito” è quello di un procedimento ordinario di merito in primo grado, nonostante che avanti alla corte d’appello la trattazione della causa debba sempre essere collegiale (art. 350 c.p.c). La domanda di riconoscimento, ha dichiarato la Cassazione nella sentenza sopra citata, non può essere cumulata con altre domande di natura diversa.

L’azione tendente ad ottenere il riconoscimento può essere preceduta da un provvedimento d’urgenza (artt. 700-702 c.p.c): ad es. se vi è il pericolo che il bene su cui ha statuito la sentenza venga fatto sparire.

La particolare natura della causa non esclude che debba farsi ricorso a qualche assunzione probatoria. Ciò può avvenire, per esempio, se il criterio di competenza giurisdizionale sul quale si è fondato il giudice straniero – la cui sussistenza è stata accertata da quel giudice — non è riconosciuto dal sistema giuridico italiano e quindi fa difetto ii requisito della competenza internazionale del giudice straniero.

A questo punto può essere necessario provare che a favore del giudice straniero sussistevano altri criteri di competenza internazionale riconosciuti dall’ordinamento italiano ma non presi in considerazione dalla sentenza straniera (la quale invece ha fatto riferimento appunto ad un criterio di giurisdizione che il sistema italiano non ammette).

La spontanea ottemperanza di una decisione giudiziaria straniera priva la parte che l’ha prestata dei mezzi di cui altrimenti potrebbe disporre. Se, ad esempio, ho dato a Tizio la somma x perché il giudice y mi ha condannato, non potrò ripeterla asserendo che ho diritto alla ripetizione dell’indebito. Se tento di farlo Tizio potrà invocare contro di me l’art. 67, co. 3.

Riconoscimento in giudizio pendente

Già il codice di procedura civile del 1942 prevedeva, nell’art. 799, la “dichiarazione di efficacia in giudizio pendente” della sentenza quando ricorrevano le condizioni per il suo riconoscimento a titolo principale, ma il caso si presentava, in Italia, avanti ad un giudice che non era quello tassativamente indicato per pronunciarsi sul riconoscimento .

La sentenza straniera poteva esser fatta valere sia in via di eccezione sia in via di azione. L’automatismo del riconoscimento della sentenza straniera potrebbe far apparire superflua la norma dell’art. 67, co. 3. Occorre però tener presente in contrario:

— la tradizione del nostro sistema giuridico di riconoscere le sentenze straniere soltanto in un quadro legislativo esplicitamente formulato;

— la possibilità, dischiusa dalla norma, di assicurare il riconoscimento anche avanti ad un giudice che non è la corte d’appello;

— la dominanza, nel nostro sistema processuale, del principio della domanda (art. 99 c.p.c. “Chi vuoi far valere un diritto in giudizio deve proporre domanda al giudice competente’), il quale esclude che il giudice, attivato da un’altra domanda, possa dare riconoscimento ad una sentenza straniera anche se nel processo viene depositata come documento: occorrerà una domanda in tal senso ed una norma specifica che la renda possibile.

Peraltro l’art. 67, co. 3, parla di contestazione e non di riconoscimento, usando quindi una formula che richiama l’evenienza di una sentenza fatta valere incidentalmente nel corso di un processo (avanti ad un giudice che non è quello normalmente competente) avviato da una domanda autonomamente definita alla quale la controparte tende a negare effetto: a contestarla.

Non si deve pertanto pensare che l’effetto dell’art. 67 si produca soltanto allorché vi sia la contestazione.

Nel medesimo tempo, occorre che il riconoscimento avvenga in via incidentale e sia provocato da un’attività difensiva della controparte; a sua volta, la contestazione del riconoscimento non deve costituire l’oggetto della domanda principale presentata in forma apparentemente diversa ma coincidente con le statuizioni della decisione straniera

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