Nell’esperienza italiana, le organizzazioni sindacali hanno sempre privilegiato forme di lotta temporalmente brevi, ma eventualmente articolate in una pluralità di episodi interconnessi: questo allo scopo di minimizzare il danno retributivo subito dal lavoratore, e di massimizzare, al contrario, quello patito dall’impresa.

L’esempio più eclatante di tale prassi è rappresentato dalle forme anomale di sciopero (es. sciopero a singhiozzo , sciopero a scacchiera ). Il dibattito sulla liceità di queste forme ha rappresentato uno snodo cruciale del dibattito sullo sciopero, preparando il terreno sul quale si sarebbe poi mossa la legge n. 146 del 1990.

Negli anni ’50 e ’60, la giurisprudenza era sostanzialmente unanime nel ritenere illegittime le forme di sciopero in discorso, sulla base della teoria del danno ingiusto che presupponeva l’esistenza di limiti intrinseci del diritto di sciopero. In pratica, si riteneva che questi scioperi fossero illegittimi perché fonte di un danno ulteriore e più grave di quello necessariamente inerente ai mancati utili dovuti alla momentanea sospensione dell’attività lavorativa dei suoi dipendenti.

Contro tale giurisprudenza, si sono poi indirizzate severe critiche da parte della dottrina, netta nel ribadire come, essendo lo sciopero rivolto a procurare il maggior danno possibile alla controparte, dalla consistenza del danno arrecato alla controparte non si potesse trarre alcuna considerazione di illegittimità dello sciopero. Tali critiche hanno trovato una sponda, nel 1980, in una sentenza della Corte di Cassazione (n. 711) che incentrava il proprio ragionamento sulla piena adesione ad una nozione di sciopero recepita dalla prassi sociale. La Corte, tuttavia, non è caduta nell’eccesso opposto di ritenere scevro da qualsiasi limitazione l’esercizio del diritto di sciopero: ha riconosciuto, infatti, l’esistenza di limiti esterni alla struttura del diritto nell’esistenza di norme che tutelino posizioni soggettive concorrenti, su un piano prioritario o quantomeno paritario, con quel diritto . Tali posizioni soggettive sono state poi identificate, ad esempio, in quelle rivolte a proteggere i beni della vita, della salute e, soprattutto, la libertà di iniziativa economica.

A quest’ultimo riguardo, la sentenza ha osservato che il diritto di sciopero va esercitato in modo da non pregiudicare irreparabilmente la produttività (non la produzione) dell’azienda, cioè la possibilità per l’imprenditore di svolgere la sua iniziativa economica . È così emersa, come limite esterno del diritto di sciopero, la categoria del danno alla produttività , dalla quale si è tratta l’implicazione della liceità di base degli scioperi anomali, se non in quei casi in cui lo sciopero rischi di determinare uno sconvolgimento materiale degli apparati produttivi.

Il principio in discorso, accettato sia dalla giurisprudenza che dalla dottrina, è successivamente rifluito nella legge n. 146 del 1990, regolatrice dello sciopero nei servizi essenziali

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