Lo sciopero è un diritto di rango costituzionale e l’art.40 Cost. rinvia al legislatore ordinario il

compito di regolarne le modalità e l’esercizio. In realtà la norma costituzionale è stata considerata sin dalle origini, pur in assenza della normativa di attuazione, immediatamente precettiva e cioè applicabile direttamente dal giudice.

Ad ogni modo l’assenza di una normativa di legge ordinaria ci spiega perché la giurisprudenza abbia dovuto assolvere ad una funzione di supplenza, risolvendo tre ordini di problemi:

  • La qualificazione dello sciopero e la conseguente determinazione delle finalità lecite
  • La questione della titolarità del diritto di sciopero, risolta privilegiando la tesi della titolarità individuale rispetto a quella della titolarità collettiva
  • Le modalità di esecuzione del diritto di sciopero; modalità individuate e regolate dall’intervento della Cassazione e soprattutto della Corte Costituzionale.

 E’ opportuno comunque illustrare brevemente la disciplina previgente:

  • Le norme del codice penale sardo consideravano reati sia lo sciopero sia la serrata
  • Il codice Zanardelli depenalizzò lo sciopero che, insieme alla serrata, restava reato solo se posto in essere con violenza o minaccio. Lo sciopero fu in sostanza considerato una liberalità di fatto, cioè un’attività penalmente lecita che restava tuttavia illecita sotto il profilo civile, costituendo un inadempimento tale da giustificare il licenziamento
  • Il codice Penale del 1930 ha sanzionato penalmente ogni forma di sciopero e di serrata, sia nel settore privato (artt.502 e ss.), sia nel settore pubblico (artt. 330-333). Il codice Rocco prevedeva (ed in alcuni casi prevede ancora) in particolare.

3a) Sciopero per fini contrattuali (art.502). Diretto contro il datore di lavoro al fine di ottenere la modifica delle condizioni di lavoro stabilite nel contratto collettivo.

3b) Sciopero per fini non contrattuali, ossia per fine politico (art.503), oppure per costringere la pubblica utilità ad emettere o omettere un provvedimento (art.504).

3c) Sciopero di protesta o di solidarietà (art.505).

L’art.502 è stato dichiarato illegittimo. Gli articoli 503 e 504 sono stati dichiarati parzialmente incostituzionali. Ovviamente vedremo la questione nel dettaglio nei prossimi paragrafi.

 

Lo sciopero dopo la Costituzione. Ricostruzioni dottrinali.

Una delle prime dottrine post-costituzionali aveva definito lo sciopero come astensione concertata dal lavoro per la tutela di un interesse economico professionale. In base a questa definizione fu qualificato come diritto soltanto lo sciopero per fini contrattuali, mentre furono escluse dall’area della tutela le altre forme di sciopero.

Lo sciopero viene elevato a diritto di rango costituzionale e fu qualificato dalla dottrina, e in particolare da F. Santoro Passarelli, come diritto potestativo. Secondo tale ricostruzione, l’esercizio del diritto potestativo legittima il lavoratore a sospendere la sua obbligazione e colloca il datore di lavoro in una posizione di soggezione perché non può evitare l’esercizio del diritto di sciopero.

Ad ogni modo, se è vero che l’esercizio del diritto potestativo legittima il lavoratore a sospendere l’esecuzione della prestazione, è altrettanto vero che il datore di lavoro, a fronte della sospensione dell’obbligazione di lavorare, è legittimato a sospendere la sua obbligazione, cioè la retribuzione. Non sembra pertanto che il datore di lavoro venga a trovarsi in una condizione di vera e propria soggezione.

Successivamente lo sciopero fu qualificato dalla dottrina come diritto assoluto della persona. Tale qualificazione ha individuato nello sciopero un mezzo per la realizzazione del principio di uguaglianza sostanziale. Infatti, secondo tale interpretazione, lo sciopero è uno strumento che elimina uno degli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Le ricostruzioni dottrinali dello sciopero sono state confermate anche dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, e sono state il presupposto di diverse sentenze che hanno ampliato le finalità dello sciopero legittimo, ed il numero dei soggetti contro i quali tale diritto può essere fatto valere. Tali importanti sentenze sono analizzate nel prossimo paragrafo, tenendo presente che la giurisprudenza costituzionale, sulla scorta delle ricostruzioni della dottrina, ha contribuito, in misura determinante, ad ampliare progressivamente l’area dello sciopero legittimo.

 

Le sentenze della Corte Costituzionale in materia di sciopero

La Corte Costituzionale nel 1960 dichiara illegittimo l’art.502, che puniva lo sciopero per fini contrattuali, per il palese contrasto con l’art.40 Cost. In realtà la Cassazione già nel 1959 aveva riconosciuto la legittimità dello sciopero per fini contrattuali, affermando addirittura che solo tale tipologia di sciopero è protetta dalla Costituzione, in quanto solo essa ha per oggetto una pretesa che può essere soddisfatta dal datore di lavoro.

In realtà tale impostazione è stata superata dalla Corte Costituzionale -pur condividendo il nucleo della decisione, cioè l’illegittimità della norma penale che incriminava lo sciopero per fini contrattuali – perché essa ha ricompreso nella fattispecie dell’art.40 non solo lo sciopero economico ma anche lo sciopero di imposizione politico-economica.

Con questa definizione si intende lo sciopero effettuato per rivendicazioni nei confronti dei pubblici poteri rispetto a beni che non sono nella disponibilità dei datori di lavoro, ma che trovano comunque riconoscimento nella tutela della disciplina dei rapporti economici. Rientrano in questa categoria, ad esempio, gli scioperi per la riforma discale o sanitaria. In questi casi, il datore di lavoro subisce lo sciopero e quindi il relativo danno, pur non avendo alcuna responsabilità e soprattutto non avendo alcuna possibilità di evitarlo.

La Corte ha successivamente affermato anche la legittimità dello sciopero politico in senso stretto o puro. Questa forma di sciopero si esercita contro atti politici del Governo, ad esempio contro le missioni militari in paesi stranieri. In sostanza la Corte, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art.503 nella parte in cui incriminava lo sciopero per fini non contrattuali, ha affermato che lo sciopero politico è uno strumento tipicamente democratico che consente al lavoratore un’attiva partecipazione alla vita nazionale.

La configurazione dello sciopero politico come libertà e non come diritto potrebbe produrre effetti diversi sul rapporto di lavoro: in effetti, mentre l’esercizio del diritto produce la sospensione del rapporto di lavoro, l’esercizio della libertà (pur penalmente legittima) dovrebbe essere considerata una forma di inadempimento del prestatore di lavoro, ed in quanto tale dovrebbe legittimare sanzioni disciplinari o addirittura il licenziamento.

Tuttavia l’irrogazione della sanzione disciplinare e del licenziamento sono considerati comportamenti antisindacali ai sensi dell’art.28 St. Lav., in quanto lo sciopero politico, pur non essendo qualificabile come diritto, è comunque esercizio di attività sindacale. Ecco perché in questo caso la distinzione tra libertà e diritto di sciopero si riduce ad una questione più nominalistica che reale, in considerazione della sostanziale identità di effetti che ne derivano.

Va comunque precisato che la Corte Costituzionale ha lasciato in vigore l’art.503 solo in due casi:

  • quando lo sciopero politico sia diretto a sovvertire l’ordinamento costituzionale
  • Nell’ipotesi in cui oltrepassando i limiti di una legittima forma di pressione, si converta in uno strumento atto ad impedire od ostacolare il libero esercizio di quei diritti e poteri nei quali si esprime direttamente o indirettamente la sovranità popolare